In certi momenti della vita diventa dura scrivere del diabete, riportare un diario delle giornate passate e ripassate non solo a controllarmi la glicemia e poi fare i soliti passi: calcolo dell’insulina necessaria e pasto. Un passaggio ricorrente sì ma quando la condizione personale e lo stato dell’umore circostante, personale è basso ti passa la voglia di fare tutto compreso stare dietro al diabete. E’ solo un attimo poi passa d’accordo, ma quel frangente sembra un secolo in questi momenti.
Lo stato del mio diabete continua a galleggiare in acque tranquille, la media dei valori glicemici della settimana appena lasciata alle spalle è stato pari a 151 mg/dl, quindi di che mi lamento? Non certo del Mellito mio, che ancora veleggia bene, ma volgo il pensiero ai diabetici del ceppo più popolare ovvero il tipo 2, e nella fattispecie alla fascia in età avanzata, penso a persone come il padre della mia compagna abituato per una vita ad “abbondare a tavola” poi dover rinunciare a buona parte delle precedenti usanze alimentari. Io, noi della tribù del tipo 1 ci viviamo da lungo tempo con la compagnia del fattore D e in realtà non abbiamo rinunce davanti a noi ma moderazione e controllo nell’impiego dei carboidrati, inoltre facendo sport e attività fisica la tavola finisce per diventare una piattaforma senza limiti, come scrivevo nei giorni circa le mie giornate passate in vacanza.
Così ho riscoperto una poesia del compianto Aldo Fabrizi, attore e uomo di spettacolo del secolo scorso e celebre nel film diretto da Rosellini “Roma città aperta”, dedicata alle sue pene col cibo e tutto il resto…
LA DIETA
Doppo che ho rinnegato pasta e pane,so’ dieci giorni che nun calo, eppure
resisto, soffro e seguito le cure…
me pare ‘n anno e so’ du’ settimane.
Nemmanco dormo più, le notti sane,
pe’ damme er conciabbocca a le torture,
le passo a immagina’ le svojature
co’ la lingua de fòra come un cane.
Ma vale poi la pena de soffrì
lontano da ‘na tavola e ‘na sedia
pensanno che se deve da morì?
Nun è pe’ fa’ er fanatico romano;
però de fronte a ‘sto campa’ d’inedia,
mejo morì co’ la forchetta in mano!