L’aggiunta di cibi ricchi di aminoacidi specifici e grassi nelle diete dei giovani con diabete di tipo1 ha contribuito a conservare la produzione d’insulina in alcuni di loro fino a due anni dopo la diagnosi: lo hanno affermato i ricercatori dell’Università del North Carolina a Chapel Hill.
Nelle predette situazioni i giovani hanno sì necessità di aver iniettata l’insulina supplementare, ma questo prolungamento di produzione residua dell’ormone aiuta a ridurre il rischio di complicanze del diabete, ha detto Elizabeth Mayer-Davis, professore di nutrizione presso la Scuola di Medicina della UNC, che ha condotto lo studio su più di 1.300 giovani. “Questo apre anche la porta per un nuovo approccio che potrebbe davvero beneficiare la vita di questi bambini.”
Lo studio, “fattori nutrizionali e conservazione di C-peptide in gioventù con diagnosi recente diabete di tipo 1”, è stato pubblicato nel numero di luglio 2013 della rivista Diabetes Care.
I giovani partecipanti, che vanno dai bambini fino ai giovani adulti con 20 anni d’età, sono parte di una “ricerca per il diabete in gioventù,” multi-center: il più grande studio statunitense sul diabete infantile.
Il diabete di tipo 1 è quasi sempre diagnosticato tra l’infanzia e età adulta, secondo l’American Diabetes Association. Il pancreas sano è in grado di produrre una quantità adeguata di insulina, necessari per metabolizzare il cibo correttamente e creare energia per le cellule del corpo, cosa che non accade con il diabete, ovvero in specie nel tipo 1 ove il sistema immunitario attacca ed elimina sul nascere le cellule beta produttrici dell’insulina.
I ricercatori hanno esaminato la leucina, una delle catene ramificate di aminoacidi ricercatori hanno esaminato, nota per stimolare la secrezione. Si trova nei latticini, carni, prodotti di soia, uova, frutta a guscio e prodotti a base di grano integrale. Gli acidi grassi a catena lunga omega-3 sono presenti in pesci grassi come il salmone.
I ricercatori hanno analizzato quanto (se presente) di insulina i soggetti stavano producendo fino a due anni dopo la loro diagnosi e confrontato con questo apporto nutrizionale.
La Mayer-Davis ha sottolineato nello studio come i soggetti hanno mangiato cibi naturali e ricchi dei predetti nutrienti, senza l’assunzione di integratori.
Ulteriori informazioni sulla ricerca sono reperibili leggendo il report integrale (in inglese) all’indirizzo: http://care.diabetesjournals.org/content/36/7/1842.full.pdf+html
Fonte: University of North Carolina a Chapel Hill