(AGI) – Roma, 6 set. – Più ricoveri in ospedale per i ragazzi che non si attengono alla terapia medica New York – I ragazzi e gli adolescenti che soffrono di asma o di diabete di tipo 1 spesso non prendono i farmaci prescritti e coloro che saltano le dosi hanno maggiore probabilità di finire al pronto soccorso, secondo un nuovo studio compiuto da Dipartimento Sanità dello Stato di New York. Più della metà dei bambini affetti da malattie croniche devono seguire una terapia farmacologica ma una percentuale variabile tra il 50 e l’80% non prende i farmaci come prescritto.
Il laconico comunicato d’agenzia lanciato nelle settimane scorse in realtà è senza tempo, purtroppo, poiché il dato in se per sé è conosciuto da mo’ e nello stesso istante ben poco si fa per contrastarlo: lo dico in piena coscienza poiché io sono stato, tra l’adolescenza e dopo i vent’anni, un diabetico che i farmaci sì li prendeva, ovvero l’insulina, ma non mi fidavo più dei medici e dei diabetologi in particolare.
Oggi che non sono più un ragazzo e ripercorro quel momento dell’evoluzione personale ricavo una sintesi: in giro ci sono diversi percorsi diretti ad affrontare il passaggio del diabetico dall’adolescenza agli adulti, come ho già raccontato in questo spazio (progetto Caronte a Varese sviluppato dalla dott.essa Cigolini ad esempio), ma a resto dell’idea che il punto di fondo resta eluso.
Dentro alla “scelta” di non curarsi c’è un magma di elementi circolanti nella mente del giovane diabetico sovente legati a confusione, conflitto dovuto a difficoltà relazionali in ambito familiare e disinteresse, rifiuto alle regole, tutto questo rappresenta una miscela pericolosa e facile ad esplodere, inoltre se non viene portata a maturare c’è pure il rischio di vederla trascinare avanti per molto tempo.
A fronte della situazione difficile cui si rappresenta la transizione adolescenziale nel diabetico ci sono altri punti critici che pesano fortemente: in primo luogo una identificazione chiara dell’esistente, ovvero chi sono i latitanti, i dispersi? La mancanza di un riscontro a questa domanda è la migliore delle risposte.
Se non riusciamo a identificare e trovare i diabetici “renitenti alla visita” come possiamo recuperarli? Senz’altro non rivolgendoci al noto programma televisivo “Chi l’ha visto”. A parte il sarcasmo naturalmente l’unico referente identificabile e certo è e restano i genitori, i quali sono i primi a porre l’attenzione sulle difficoltà presenti nel diabetico nel cura o noncuranza della malattia.
Allora il punto vero da affrontare, almeno spero, dopo decenni di menefreghismo, sta non nelle diabetologie, le quali come strutture possono ben poche davanti a ragazzi e famiglie in difficoltà, ma nel supporto sociale e psicologico per contesti di difficile approccio e sintesi.