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PassEd ecco la stessa peripezia. Cambio lavoro. E li mille domande…Devo dire del diabete? O no? Ma se non ho niente da nascondere, perché non lo devo dire? Ma se poi mi giudicassero in base alla mia malattia e non per la mia capacità? In quanti ci siamo fatte queste domande prima di cominciare un nuovo lavoro. Così come tutti me li sono fatta anch’io. Un anno fa. Ero li. Un nuovo posto. Con persone che non conoscevo. Che non mi conoscevano. Che non sapevano niente di me. Che non sapevano dell’esistenza del diabete. Cosa faccio? Glielo dico? Non glielo dico? Alla fine ha vinto quella parte che conosceva il rifiuto, così che all’inizio non dico niente. Non perché mi vergognavo, quello no. Ma perché non volevo che il mio lavoro fosse giudicato dalla mia patologia. Ma più passano i giorni e più sento di sbagliare. Non dovrei farlo. Il diabete è parte di me, anche quando lavoro. E così decido di parlare con la direttrice. Anche se piano piano avevo imparato a conoscerli, devo ammettere che la sua reazione mi ha sorpreso, nel senso buono dico. Forse perché una parte di me aveva davvero paura, paura di sentire ancora un rifiuto per solo il fatto di avere il diabete. E devo dire che sono stata contenta di sbagliarmi. E in quelle parole ” non hai niente per cui vergognarti” beh, posso dire di essermi liberata di un peso. Perché è vero che non giro con la scritta sulla fronte che ho il diabete, ma neanche nasconderlo. Poi da noi nasconderlo era pure un impresa visto che ci cambiamo nello stesso spogliatoio. Ma quel giorno mi sono sentita libera davvero. E anche accettata. Che è una cosa rara. Però io sono stata fortunata a lavorare con persone che anche se non sapevano niente del diabete, hanno voluto informarsi davvero su cos’era. E questo mi porta in mente le frasi di alcune persone che si lamentavano delle domande “stupide” che qualche collega li faceva. Si, so benissimo quanta ignoranza in giro. Lo so perché l’ho provato sulla mia pelle. Ma, se tu non spieghi a queste persone cos’è il diabete, come puoi pretendere che loro sappiano? Direi che ho parlato così tanto del diabete li dentro, che ormai non oso mangiare un dolcino senza che qualcuno mi dica “ma la glicemia quant’è?” Devo dire che li ho insegnato bene. Hahahaha…Poi a marzo una nuova “sfida”. L’azienda sarebbe andata all’Expo. E li chissà quante volte mi sono chiesta se volevo e potevo andare. Perché andare per un mese o di più anche da solo dal punto di vista del diabete non sarebbe stato facile, non sopratutto quando avevo un casino con i documenti del diabete. Però decido di “buttarmi”. E i ultimi giorni di aprile mi dicono che sono nel primo gruppo che ci sarebbe andato. E si comincia a prepararsi. A fare quella valigia, che più che vestiti, è piena di roba del microinfusore e altre cose del diabete. E l’avventura comincia. Mi devo preparare a una nuova sfida. Vivere e lavorare con persone che non conosco. Che non sanno del diabete. E di nuovo è stata un esperienza. Perché c’era chi aveva la madre diabetica e sapeva già tutto. C’era chi aveva la collega diabetica. Cosa posso dire? Umanità, l’unica parola che mi viene in mente per descrivere tutto. E l’Expo comincia. Controlli all’entrata, come non ho mai fatto in vita mia, per l’allarme che suonava tutti i giorni (e la scoperta di qualche giorno dopo che in realtà era colpa dei occhiali. Hahahahahahaha) Turni che solo chi era li può capire. Lavorare come se non ci fosse un domani. E il diabete “non si è mai sentito”. Io ero solo una persona come le altre, che lavorava come gli altri. E basta. Per me era una cosa “normale”. Però non mi ero resa conto di una cosa. E per il fatto di essermi resa conto, in un certo senso dovrei ringraziare chi mi ha fatto sentire che non ero abbastanza. Proprio ieri, una foto vista per caso. Quella che ricordava qualcosa che non ero riuscita, che avevo fallito. Per un po l’amaro mi ha travolto. Però nel momento che stavo elaborando tutto, mi sono resa conto che io non avevo fallito. Anzi, in quest’ultimo anno avevo fatto molta strada. E il fatto che ero a Milano, all’Expo, in quel posto che un anno fa solo a pensarci era tanto, beh, dice molto. E soprattutto dice il fatto che abbiamo cominciato dal zero, ed è diventato il primo locale della catena, superando pure quello che lavoravo già. Ed è una bella sensazione. Perché posso dire di esserci stata. Di essere stata parte di quelli che hanno costruito qualcosa. E per questo non potrò mai ringraziare le persone che mi hanno dato questa possibilità, che hanno creduto in me. Che posso dire? Quando il lavoro va oltre, diventa quei amici colleghi e le uscite senza fine. Quando il lavoro va oltre, diventa quelle colleghe che quando rimani senza strisce fanno di tutto tramite i contatti che hanno di darti una mano. Quando il lavoro va oltre, è quel collega che scherzando dice che troppa dolcezza mi farà alzare l’insulina, ma che poi serio mi dice che devo andare a riposare quando vede che sono distrutta. Quando il lavoro oltre, diventa quella signora dell’ufficio che quando vede il mio piatto stracolmo scherzando mi dice che vuole vedere i miei analisi. Quando il lavoro va oltre, diventa quelle cene e birre all’1 di notte, al ritorno dal lavoro. Quando il lavoro va oltre, il diabete è solo una parte di te, ma non rappresenta quella che sei. Quando il lavoro va oltre, diventa complicità, amicizia, famiglia. Quando il lavoro va oltre, è Dispensa Emilia… (Direi che non c’è foto migliore per rappresentare quest’ultimo mese e tutto quello che ha comportato per me…E volevo scrivere questo post anche per dire che tutto è possibile, che a volte basta solo dare una possibilità alle persone di conoscerci come siamo, diabete o no…)