Default Featured Image Eloquente immagine di un diabetico tipo uomo d’affari che sta disperatamente chiamando il numero verde dell’assistenza poiché il sensore glicemico da segnale di errore.

Non faccio del diabete una malattia, ne faccio cosa mia e disfarmene perché sì, perché no e che ne so. Credo sarebbe meglio disfarsi di sedicenti soloni che poi nella realtà sono semplicemente rompicoglioni. E dell’idolatria che mi dici? Siete amici?!? Come persona e diabetico fin dall’infanzia sono sempre rimasto affascinato e interessato da tutto ciò che l’uomo fa e realizza per migliorarsi la vita e quella degli altri, in ogni campo, compresa naturalmente la nostra salute. Tutto questo all’interno di una dimensione e approccio funzionale, utilitaristico sia dell’innovazione che degli strumenti impiegati.

La tecnologia è diventata così parte integrante (e necessaria) della nostra vita da non poterne più fare a meno. Proporre e porre una riflessione è dunque prezioso per svariati motivi. Innanzitutto per conquistare un’utile consapevolezza sulla quale costruire una visione più appropriata dei valori e dei significati della tecnologia. Gli ultimi anni hanno registrato l’esplosione di sistemi frutto della maturazione di conoscenze scientifiche dell’ultimo mezzo secolo. Ciò significa che siamo soltanto all’inizio di un processo di diffusione e assimilazione tecnologica il quale diventerà sempre più esteso e profondo, dunque pervasivo. E sarà sempre più arduo comprendere lo stretto rapporto tra le innovazioni e noi stessi e i bisogni indotti dalle nuove opportunità. Ma sono pensieri suggeriti soprattutto dalla paura di una inevitabile (e imprevedibile) evoluzione. Una reazione naturale e conseguente che risiede nella paura di perdere il controllo umano sul circostante e stante: un rifiuto della tecnologia vista come dominatrice dell’uomo, delle sue azioni e addirittura dei suoi pensieri. In essa si vede una dimensione «cattiva» tanto da essere talvolta esibita in contrapposizione alla scienza per definizione «buona» portando un avanzamento della conoscenza.

Ma la tecnologia non è anch’essa conoscenza? Certamente la velocità con la quale si sviluppa entrando nella quotidianità può inquietare perché le nostre capacità sembrano ridotte rispetto alla disinvoltura mentale che l’innovazione richiede (su questo apriremo un capitolo specifico un giorno, proprio legato all’insito rapporto forza/debolezza della tecnologia e quella che gira tramite i byte ne è una chiara e marcata realtà). In verità questo sarebbe opportuno vederlo come uno stimolo invece che un ostacolo consentendoci di mantenere le nostre facoltà cerebrali in uno stato di maggior efficienza. Ma per tutte le tecnologie, molte delle quali così pervasive da non vederle nemmeno (come i farmaci nano tecnologici che colpiscono cellule malate) occorre conoscenza e coscienza per padroneggiarle e renderle maggiormente utili all’esistenza. Senza demonizzarle, trasformandole in una religione come qualcuno ipotizza. Allora sì diventano pericolose. Però in quel caso il pericolo nasce nell’uomo che si nasconde nell’irrazionale sfuggendo dalla realtà.

E tutto questo pistolotto ora va a cadere proprio sul diabete, che fa da degno coronamento all’idolatria tecnologica. C’è una quota parte di noi diabetici (io ne sono un infinitesimale pezzettino) che fa utilizzo di tecnologie avanzate (nel senso progressivo della direzione di marcia e non quindi in retromarcia) nella terapia quotidiana: microinfusore d’insulina con CGM (Monitoraggio Continuo del Glucosio). Ora suonerie, avvisi, allarmi a parte tutte codeste strumentazioni sono ancora in fase evolutiva, pertanto la scala di approssimazione dei dati rilasciate persiste nei fatti. Ma non è di questo che voglio rimarcare la cosa. Affidarsi in toto alla tecnologia rischia di fare perdere il lato positivo dell’analisi clinica e sintomatologica umana. Per cogliere lo stato di malessere di un diabetico (vedi ipoglicemia, iperglicemia, chetoacidosi, ma anche scompenso glicemico) è sufficiente subito constatare la presenza dei classici sintomi accompagnatori di tali episodi e intervenire con le procedure di rito. Anche perché la tecnologia serve sì ma non sempre c’è, quindi la necessità che la pratica e fiuto del contesto.