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La vita è progresso: nasci partendo da 0 e arrivi a due cifre, le mie oggi sono 54, pari agli anni di vita trascorsi con il diabete tipo 1. Una buona notizia no? Dicevano all’esordio che non sarei arrivato agli 8 anni d’età e a settembre ne faccio 56. Ma sappiamo, come la cronaca e i sondaggi confermano, che le previsioni e probabilità restano indicative.

Il mio diabete si appalesò nel 1963: cominciai con una sola iniezione d’insulina al giorno e senza controlli domestici dello zucchero nel sangue e nelle urine, ma tra l’esordio e fino al 1970 collezionai complessivi 38 mesi di ricovero in ospedale – pediatria.

Una tiritera che creava un atmosfera e ha lasciato il segno. A conferma di un semplice dato di fatto: ogni diabetico, per ragioni molteplici legate a: età della diagnosi, censo sociale, livello d’istruzione, clima familiare, preparazione e accettazione o meno della malattia, ha una evoluzione e crescita con tale patologia propria ed esclusiva. E comunque una predisposizione in generale a viverla in sé e non farne menzione con altri.

Io stesso fino a non molto tempo fa ho conservato un simile comportamento e non biasimo chi della cosiddetta mia categoria lo fa e la ragione è presto detta: tutti dicono di saperne di diabete, hanno qualcosa da dire, salvo poi mettere in evidenza banalità e luoghi comuni. L’elemento più marcato e noto è di fare di tutta un erba un fascio senza saperne una cippa delle differenze tra il diabete tipo 1 e tipo 2 e altre marcature ricomprese all’interno dello stesso 2, per non parlare poi del diabete LADA, Mody e gestazionale e via andare.

Una confusione che parte dalle molteplici sfaccettature mediche a quelle mediatiche e della rete che fanno del diabete una sorta di torre di babele, dove alla fine della fiera prevale e vince l’equazione: ciccione –mangione – diabetico.

Allora un tipo 1 ha due reazioni conseguenti: non smarronarsi con non ci arriva, fare quel che può in proprio perché tra dotti e sapienti poi non ti resta niente tra i denti.

54 anni di diabete – potrei raccontarvi una certezza circa la mia sopravvivenza con la tale patologia: ho avuto un gran CULO. Sì, poiché dall’esordio fino a circa 10 anni fa nessun medico era mai riuscito a tenermi compensata la glicemia. Tant’è che a un certo punto della mia esistenza, tra i 20 e 35 anni d’età smisi di farmi vedere in diabetologia al Policlinico Sant’Orsola – Malpighi di Bologna ovvero dall’anno 1980 sino al 1995.

Pazzo? Lascio a voi il commento. Per quel che mi riguarda riporto sono un passaggio risalente al 1980: Facevi tra mezz’ora e un’ora per espletare la procedura di accettazione, stavi a digiuno per un solo controllo glicemico alle 8 del mattino e se andava bene via a casa, se andava male lo ripetevi verso le 11 fino a buon esito ma senza lettura di diari glicemici o istruzioni utili a migliorare il mio stato patologico.

E anche per quest’anno è andata.