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L’altra notte ti ho sognata. Mi succede oramai di frequente e non ne capisco la ragione. Al risveglio mi ritrovo col tuo volto impresso nella memoria e ricordo tutto di te, compresa la voce. Rivivo i momenti trascorsi in tua compagnia e riempio così la mia giornata, che scorre lenta e vuota. Sono qui, lontano da casa, in questo luogo inospitale che mi dà lavoro, ma che non appaga il mio bisogno d’amore. Mi manca la mia donna, mi manchi tu, con la tua saggezza. Probabilmente oggi non sarei quel che sono, se non ti avessi incontrata. Sei tu che mi hai convinto, inconsapevolmente, a fare il grande passo che ha cambiato la mia esistenza.
Le notti bianche, no, non quelle d’oggi fatte di feste e baldoria dove tutti finiscono in gloria, bensì ciò che voleva dire trascorrere al mio capezzale giorni mesi anni dell’infanzia fatta di ricoveri nella pediatria dell’ospedale. Di corse pazze non lungo le vie balneari o per discoteche, bensì dritti, diretti al pronto soccorso causa ipoglicemia, iperglicemia con chetoacidosi a scelta che sia. A bordo di un auto, ambulanza o, come quella volta, sulla caretta di un rigattiere ma sempre stessa direzione: via Massarenti 9.
Le note le notti questo intrigo circadiano, il lato oscuro dell’essere umano, come d’ogni specie vivente che vive il suo mentre.
E la mia come la mamma è preistoria. Ora, oggi è tutta un’altra storia, fatta sempre si critiche e lamentazioni ma con presenze e prospettive ben diverse e senz’altro migliori. Un tempo il diabetico delle caverne moriva, poi con l’avvento dell’insulina cominciò a navigare a vista. Ora il diabetico si fa indossatore di dispositivi: defibrillatori, sensori glicemici, microinfusori bionici e algoritmi che, presto, daranno vita al “pancreas artificiale”. E la mamma ha, avrà sempre più sotto il cruscotto il pargolo in osservazione da remoto a prossimo.
Dispersi mai per figli del diabete catturati dalla rete come noi, ognuno diverso, unico e in divenire.
La festa della mamma per noi dal diabete giovanile rappresenta una sorta di Santo Graal: il calice della vita e sarebbe più rispondente alla realtà estendere il momento topico al padre, perché una patologia come la nostra ad esordio nell’infanzia, adolescenza la si affronta e si vince facendo squadra, barriera in famiglia.
I passi si contano non solo per capire quante calorie si consumano e la glicemia che variazioni ha in salita o discesa. I passi si fanno per progredire ed evolversi passando dall’età della fanciullezza all’essere adulti preparandoci a morire consapevoli della maturità acquisita e dei risultati ottenuti con questa vita.
E come finisce la favola? C’era una volta ed ora non c’è più. I figli sono sistemati, quel che dovevo e ho potuto fare l’ho fatto, certo.
Ma la mamma resta sempre la mamma, un presente, un ricordo perenne che varca confini e memoria: l’unico tesoro della specie umana.