Un corpo. Un campo di battaglia. Nessuno ci pensa realmente. Ma se si tratta del corpo di un diabetico, beh, è proprio così. Tutta l’insulina “passa” da li. Da quel corpo che chissà quante volte siamo finiti ad odiare. Come se fosse colpa sua che fosse “difettoso”. Un corpo che ha subito, e che purtroppo finché non ci sarà la cura continuerà a subire. Sapete, una volta ho pure provato a contare quante volte mi ero “bucata”. 22 anni di diabete.
Cominciato con 4 iniezioni di insulina al giorno. Più i capillari per la glicemia. Durante l’adolescenza anche 8-10 iniezioni al giorno visto che l’insulina sembrava fosse acqua. Più i prelievi di sangue. E niente. Ho lasciato stare la conta. Alla fine quel numero non avrebbe mai rappresentato quello che il mio corpo aveva passato realmente. E se ritorno indietro nel tempo, ricordo le prime iniezioni sulle cosce, con una siringa che ancora oggi mi sembra di sentire addosso per il male che sentivo. Inutile dire che l’ho odiato. Odiavo quella sensazione sulle cosce come se mi paralizzasse. E da quando ho scoperto nuovo siti dove fare l’insulina, le cosce non li usavo più. Senza neanche rendermi conto è cominciato un nuovo massacro. La pancia. Povera.
Dire che l’ho massacrata è poco. Rappresenta tutto l’incubo fisico e emotivo soprattutto dell’adolescenza. Era il mio porto sicuro per nascondere i lividi delle iniezioni. Rappresentava la mia voglia di libertà che non riuscivo a trovare. E quando “ha smesso di funzionare” come doveva, sono finita a odiare anche quella. Ho dovuto fare una lunga guerra interiore per fare pace con me stessa e poi con il mio corpo. Piano piano ho dovuto accettare anche quella pancia “morta” e piena di lipodistrofie e considerarla parte del percorso, della vittoria di aver ritrovato me stessa. Però lo stesso negli anni le cosce non li ho mai toccate. Erano come una cosa sacra e intoccabile. Finché nei ultimi tempi è scattato qualcosa. Non saprei cosa. E invece dell’ago del micro, sono finita a mettere il sensore. Inutile dire che per i primi secondi ero come paralizzata. La botte era stata aperta. Tutto stava uscendo a galla…E niente. Cmq è stato liberatorio. In un modo che non saprei descrivere. Era come mettere l’ultimo pezzo di una puzzle. Era come fare realmente pace con il passato. E niente. Posso solo dire che mi sarebbe piaciuto che l’adolescente di una volta avesse conosciuto la persona di adesso.
Perché la persona di adesso li avrebbe insegnato ad amarsi, ad amare il suo corpo. Perché noi siamo più di quel pezzo di ciccia che abbiamo sulla pancia o sparso in altre parte del corpo. Noi siamo più del diabete. Siamo più dei aggeggi che abbiamo attaccato sul corpo. Siamo belle e femminili lo stesso. Perché quei aggeggi attaccati al corpo raccontano la nostra guerra ma soprattutto la nostra vittoria. Quei aggeggi ci hanno insegnato ad amarci ed accettarci per quello che siamo. E siamo tanto.