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Potrà sembrarvi incredibile ma, al giorno d’oggi, è difficile capire cosa significhi che un ingrediente è “naturale”. Questo concetto è infatti abusato e inflazionato, ma soprattutto è assolutamente fuorviante. La sensibilità sottesa in chi abusa di questa parola è che l’uomo sia una figura in antitesi con la natura e non parte di essa.  Non è così: quando parliamo del foraging, della raccolta delle erbe spontanee, parliamo di  un gesto estremamente umano, antico, radicato nei territori in cui viviamo. Un gesto in cui si sintetizza la cultura di chi affronta il paesaggio ed è in grado di tutelare i propri simili dai  pericoli e allo stesso tempo li guida in scenari meravigliosi.

Inteso come raccolta di cibo spontaneo, il foraging è un’attitudine che appartiene da sempre al genere umano e animale. Fino a poche decine di anni fa era una pratica comune a molti ed era anche sostenuta da una vera e propria scienza, l’alimurgia (termine coniato nel lontano 1767 dal medico e naturalista Giovanni Targioni Tozzetti), che studiava la possibilità di cibarsi di alimenti selvatici in periodi di carestia o povertà. Fino alla fine dell’Ottocento, d’altronde, la dieta del ceto medio-basso era composta per gran parte da cibo selvatico, poiché ciò che veniva coltivato (non esisteva ancora l’agricoltura intensiva) era destinato ai ceti  più ricchi.  Il termine foraging oggi sta a indicare l’attività di raccogliere vegetali (o parte di essi), molluschi di acqua o terra e insetti adatti al nutrimento umano nei territori incontaminati dei diversi ambienti naturali. Esiste ancora infatti e vive tutto intorno a noi una grande varietà di cibo selvatico, che possiamo imparare a raccogliere e utilizzare: la natura ci offre, “sui suoi generosi banchi”, erbe fresche, frutti autunnali e del sottobosco, radici, funghi, licheni, alghe, cortecce interne, linfa, semi, molluschi e molto altro ancora.

La settimana scorsa ne parlavo con il professor emerito di endocrinologia Joshua Aftzel Loffi di Zurigo circa gli effetti sulla salute umana del foraging e in particolare per i diabetici e chi vuole stare a contatto con gli ambienti verdi.

“Ritengo che, prima ancora di indossare le vesti dell’uomo di scienza, occorra vedere le cose con gli occhi del buon senso: tutto quello che ci fa restare attivi sia mentalmente come fisicamente ci fa bene, punto. Poi per un diabetico ancora di più in quanto gli offre l’opportunità di conoscere meglio la vegetazione e l’apporto nutrizionale dei frutti spontanei della natura”. Prosegue Joshua: “certo tutto questo dobbiamo farlo sempre con la necessaria informazione e preparazione, la regola d’oro è quella dei funghi, i re del foraging, se non sappiamo distinguere quelli buoni commestibili, da quelli velenosi e mortali gli effetti possono essere devastanti, dopo di che possiamo recuperare tutti i benefici dell’andare a radicchi”.

Sull’argomento potete leggervi questo post pubblicato su sito Dissapore.