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Vi riportiamo una sintesi di alcuni studi effettuati dalle maggiori Università Europee, sul riscaldamento e lo stretching. Le ricerche vanno in direzione decisamente contraria alla didattica corrente, in particolare sulla metodica dello stretching statico.

Solitamente, sul riscaldamento che precede la prestazione, ogni preparatore atletico ha le sue preferenze per quanto riguarda la durata e l’intensità, in relazione al tipo di sport da praticare (sport di potenza come lanci, salti, ecc, sport di resistenza come ciclismo e podismo, sport misti come il calcio). Questo ci pone di fronte a chi preferisce effettuare un riscaldamento a ritmo blando e continuato, chi fa eseguire un riscaldamento sub massimale, chi riduce i tempi di riscaldamento. Indipendentemente dalle preferenze individuali, lo scopo del riscaldamento consiste nel portare la temperatura corporea da 36° C (Temperatura Corporea Normale) a circa 39° C (Temperatura Ottimale).

A questo livello di temperatura, tutti i processi e le reazioni fisiologiche si svolgono con il massimo grado di efficacia, ed esiste un rapporto positivo tra la velocità delle reazioni biochimiche e la temperatura: i processi che si svolgono nella cellula si accelerano del 13% per ogni grado di aumento della temperatura (dati già confermati da varie ricerche scientifiche). Dallo studio è emerso che il programma di riscaldamento ottimale, per garantire un innalzamento della temperatura interna del corpo pari a 39°, è costituito da una intensità progressiva-massimale con un carico di durata media (20-25 minuti). Scarsi risultati (aumento medio della temperatura iniziale pari a 0,6-0,7° C) sono stati ottenuti con durata temporale elevata (45 min.) e carico di scarsa intensità. Infine un leggero incremento (+ 0,91,3° C) è stato ottenuto con carico elevato ma di breve durata. Ciò viene confermato anche dal fatto che la prestazione sportiva aumenta di circa il 7% nel caso di un riscaldamento di intensità progressivo massimale di media durata (aumento temperatura interna di 2° C), del 3-5% nel caso di aumento della temperatura interna di 1° C (carico elevato ma di breve durata), aumenti minimi della temperatura producono solo effetti anche essi minimi, non significativi sulla prestazione (durata temporale elevata e carico di scarsa intensità).

Lo studio non fa riferimento a sport specifici anche se le prove effettuate per quantificare l’incremento della prestazione prodotto dal riscaldamento (effetto sulla prestazione) sono state eseguite con prove di lancio del peso, accelerazione massimale con arm-press con una inclinazione dei binari di 35° e massima frequenza di pedalata contro resistenze diverse. In conclusione per la pratica, la temperatura di 39° C è consigliabile solo ad atleti professionisti che devono raggiungere la massima performance sportiva, per l’utente medio che realizza prestazioni nel tempo libero e per hobby non è importante raggiungere tali traguardi.

Stretching e riscaldamento

Da quanto esposto nel paragrafo precedente, lo stretching eseguito prima di una seduta di allenamento non contribuisce ad innalzare la temperatura corporea alla fatidica soglia di 39° C. Difatti in uno studio del ‘96 si evince che “gli stiramenti provocano nel muscolo delle tensioni elevate che comportano una interruzione dell’irrigazione sanguigna”, quindi esattamente il contrario della vascolarizzazione, per mezzo dell’effetto pompa muscolare. Anche altri autori ribadiscono la scarsa efficacia degli esercizi di stretching per l’innalzamento della temperatura muscolare.

Stretching e performance

Diversi studi hanno riscontrato la diminuzione del salto in alto verticale e il peggioramento del livello di prestazione nelle sequenze di azione di forza rapida, dopo avere eseguito esercizi di riscaldamento con allungamento. Alcuni autori spiegano l’effetto negativo dello stretching sulla performance, (quando viene eseguito prima del riscaldamento) dando un nome a questo fenomeno ovvero “creeping”, in pratica durante un esercizio di stiramento ampio e prolungato il tendine si allunga, ciò dispone le fibre in allineamento, mentre esse solitamente hanno un orientamento obliquo, si spiegherebbe così il guadagno in allungamento, che tuttavia si accompagna ad una minore capacità di immagazzinare energia elastica.

Stretching e prevenzione dei traumi

Per quanto riguarda lo stretching utilizzato per prevenire i traumi, alcuni autori hanno dimostrato che gli stiramenti passivi sottopongono i muscoli interessati a tensioni equivalenti a tensioni muscolari massimali, le strutture elastiche passive del sarcomero (titina) sono molto sollecitate e aumenta la possibilità che subiscano dei microtraumi, si ritiene che ciò costituisca un rischio per la gara. In due distinti studi, utilizzando come soggetti 1500 reclute dell’esercito, in periodi separati si è valutato in 12 settimane, l’influenza degli esercizi di allungamento sul tricipite surale e successivamente su altri gruppi muscolari dell’arto inferiore, non evidenziando nessuna differenza con il gruppo di controllo. In un altro studio effettuato su un gruppo di 320 podisti, il gruppo di controllo subì meno incidenti muscolari (4,9 incidenti ogni 1000 ore di allenamento) non avendo effettuato né riscaldamento, né allungamento, né defaticamento, rispetto al gruppo sperimentale (5,5 incidenti ogni 1.000 ore di allenamento) il quale eseguiva esercizi di allungamento durante il riscaldamento e di defaticamento al termine della seduta.

Stretching e defaticamento

Infine si utilizza molto lo stretching dopo l’allenamento per “defaticare” il muscolo, ma anche su questo aspetto alcune ricerche sono contraddittorie. È emerso che, “(…) gli stiramenti di tipo statico comprimendo i capillari, ostacolano l’afflusso di sangue e ciò comporta una diminuzione della rigenerazione proprio nei muscoli che più necessitano di recupero”. In un esperimento condotto su atlete praticanti ginnastica ritmica, con un allenamento eccentrico del m. retto femorale, su ambedue gli arti inferiori, furono fatti eseguire esercizi di stretching solo su di una gamba, tra le serie di forza, due giorni dopo l’allenamento, il DOMS (indolenzimento muscolare) era maggiore nell’arto che era stato allungato.

Conclusioni

Vi è da aggiungere che sull’aumento della performance in sport di potenza, il peggior risultato è avvenuto con tecniche che utilizzano lo stretching PNF. In pratica l’allungamento deve essere considerato un vero e proprio lavoro muscolare, se effettuato in sedute specifiche è capace di incrementare le prestazioni, con effetti nel lungo termine. Durante l’esecuzione, si raggiungono tensioni massimali, l’atleta si allunga di più di ciò che è abituato a fare (poiché i suoi recettori del dolore vengono inibiti) così facendo rischia di subire un incidente muscolare proprio nel momento della sua attività specifica. Un altro motivo di traumatismo potrebbe derivare dal disturbo di coordinazione dei muscoli agonisti-antagonisti, questi ultimi deputati al controllo del movimento oltre una certa ampiezza, per evitare appunto movimenti anomali, causa di stiramenti (blocco violento dei muscoli ischio-crurali durante la corsa). Per tanto è sconsigliato eseguire stiramenti, dopo una competizione, soprattutto in vista di un altro impegno agonistico, ravvicinato (1-2 giorni) in quanto i microtraumatismi indotti dallo stiramento sarebbero cumulativi a quelli della gara stessa.

La possibilità di trasferire i risultati ottenuti ad altra popolazione è scarsa, in quanto tutte le ricerche sono eseguite su campioni di soggetti selezionati. Errore sarebbe estendere la validità dei risultati ad altre popolazioni. Gli studi però danno delle indicazioni di massima. Si rivaluta lo stretching dinamico (non con l’utilizzo di molleggi in posizione statica) quali le circonduzioni dell’articolazione scapolo-omerale o dell’anca, magari inizialmente senza toccare dei range di movimento elevati. L’allungamento statico può essere eseguito per 10-15” ma mai in maniera massimale, la personalizzazione dell’esercizio, deve essere la strada da seguire, per la maggior parte dei soggetti è sufficiente un solo stiramento, altri invece necessitano di più tempo.

BREVI CENNI SULLO STRETCHING

Proveniente dalla cultura dell’aerobica americana, lo stretching è approdato in Europa e in Italia seguendo il percorso tipico delle mode, l’etimologia della parola deriva dall’inglese “To Stretch” che in italiano significa “allungare”.

Inventato da Bob Anderson, esso consiste nel portare lentamente al limite del campo di allungamento il muscolo o le aree muscolari interessate. Da alcuni decenni è entrato a far parte di tutti i programmi di allenamento, sia per sport di potenza che per sport di resistenza, prima, durante e dopo la prestazione.

Negli ultimi tempi però molte evidenze scientifiche suffragate dalle maggiori Università Europee, risultano contraddittorie rispetto la didattica internazionale sul tema riguardante una branca dello stretching, quello “statico”. Gli studi si riferiscono alle discipline di forza e potenza, quindi non è attendibile nelle discipline di resistenza e nelle discipline in cui è richiesta una grande escursione articolare (danza, arti marziali, ginnastica). Vengono disattesi alcuni influssi benefici che lo stretching ha sull’organismo, ciò non significa che d’ora in avanti si debbano ripudiare in blocco gli esercizi di allungamento.