Un trattamento innovativo con teplizumab mostra risultati promettenti nella prevenzione del diabete di tipo 1, inducendo tolleranza operativa e riducendo l’espansione delle cellule T autoreattive.

Teplizumab: Un Nuovo Sguardo sui Cambiamenti a Lungo Termine nel Repertorio Immunitario per Prevenire il Diabete di Tipo 1

Il diabete di tipo 1 (T1D) rappresenta una delle condizioni autoimmuni più complesse da gestire, con conseguenze significative sulla qualità della vita dei pazienti. Tuttavia, nuove speranze emergono grazie al teplizumab, un anticorpo monoclonale anti-CD3 non legante FcR, recentemente approvato per ritardare la progressione del T1D nei pazienti a rischio.

Sebbene le ricerche precedenti si siano concentrate sugli effetti immediati del trattamento, uno studio esteso ha rivelato cambiamenti importanti e persistenti nel repertorio antigene-specifico dei pazienti trattati. In particolare, il 36% dei partecipanti allo studio è rimasto libero da diabete clinico per un periodo di cinque anni, suggerendo una condizione di “tolleranza operativa”.

Utilizzando l’RNA-seq a singola cellula, i ricercatori hanno analizzato i fenotipi, il trascrittoma e il repertorio delle cellule T CD8+ nel sangue periferico, sia prima che dopo il trattamento con teplizumab. Sono emerse firme trascrizionali di attivazione cellulare nelle cellule T CD4+ e CD8+ già a tre mesi dal trattamento, seguite da un’inversione di questi segnali a 18 mesi, con una ridotta espressione dei geni associati al recettore delle cellule T e ai percorsi di attivazione nei pazienti responder.

Un dato particolarmente rilevante è stato l’aumento dell’espressione di geni legati all’esaurimento e alla regolazione immunitaria nelle cellule T CD8+ in seguito al trattamento con teplizumab. Questo indica che il farmaco non solo attiva le cellule T inizialmente, ma porta anche a un esaurimento funzionale che potrebbe prevenire l’espansione delle cellule T autoreattive, come osservato nel gruppo placebo.

In conclusione, lo studio evidenzia come il teplizumab possa promuovere una forma di tolleranza operativa nel contesto del diabete di tipo 1, attraverso un processo che coinvolge attivazione iniziale, seguita da esaurimento e regolazione delle cellule T. Questi risultati aprono la strada a nuove strategie terapeutiche mirate alla prevenzione del T1D, offrendo una speranza concreta per i pazienti a rischio di sviluppare questa malattia autoimmune.

Riferimento: Journal of Clinical Investigation 13 agosto 2024