Al capolinea di gennaio un primo momento di bilanci al principio del nuovo anno, a cominciare dal mio peso corporeo che per la prima volta nella vita da diabetico a sfondato il muro dei settanta chili e oggi si assesta nei 75 kg: della serie con il microinfusore macro spessore, ovvero si magna di più. La settimana scorsa, in particolare tra lunedì e martedì, ho avuto problemi di rischio ipoglicemico resistente, per via di alcune fluttuazioni cicliche al ribasso dei valori, in particolar modo nel tardo pomeriggio. Lo stato delle cose ha portato ad una media della glicemia settimanale pari a 156 mg/dl. Il valore mensile del tasso di zucchero nel sangue è stato pari a un valore intermedio di 150 mg/dl, un buon modo per inaugurare l’anno.
I dati servono a capire come va la gestione della vita, e in questo caso del diabete, saperli impiegare al meglio è fondamentale. La fortuna presente con la condizione diabetica riguarda proprio la possibilità di poter tenere controllata la situazione in autonomia ovunque noi siamo, e questa azione oggi scontata un tempo non era così. Il controllo a casa o non c’era, oppure era insufficiente. All’esordio del diabete, anno 1963 e fino al 1969, la dose d’insulina iniettata era fissa, non v’era alcun controllo e infatti ogni due mesi mi trovavo ricoverato in ospedale per un coma ipoglicemico o iperglicemico con chetoacidosi, e nella pediatria venivo sottoposto a prelievo del sangue dal braccio con siringa di vetro e ago spesso come un chiodo, tra urla e grida di piacere (De Sade story).
Oggi mi controllo e siccome la mia memoria di diabetico non è ancora stata formattata desidero di tanto in tanto, senza voler essere pedante, ricordare passaggi di vita che sono una piccola particella di rappresentazione dell’evoluzione nella specie “diabetica”.
La malattia come la legge non ammette ignoranza. A questa conclusione sono giunto nel mio peregrinare di ambulatorio in ambulatorio, di ospedale in ospedale, nel corso della vita, e rileggendo libri, pubblicazioni nelle loro svariate forme e contenuti. Il mio cammino più avanzava e sempre con maggiore consapevolezza maturava la sintesi che l’informazione e conoscenza non solo è potere, ma serve per restare a galla e mantenere il timone tra gli alti e bassi delle maree.
L’istinto in casi del genere non aiuta, a mio avviso la cosa migliore da fare e ragionare, informarsi per gestire la vita quotidiana con il compagno indesiderato. La differenza in questi casi la, in aggiunta, lo stato sociale d’estrazione del diabetico: più il censo è basso e maggiori saranno le difficoltà di gestione e autonomia della malattia, un dato ormai certo sia nell’esperienza personale che nei riscontri dati dalla ricerca in campo scientifico sul tema.
Ecco perché l’educazione permanente è un fattore strategico per portare a un miglioramento della vita con il diabete, e diffonderla, renderla fruibile ovunque sul territorio nazionale è non solo necessario, ma dico obbligatorio per la salute, in ogni forma, pubblica.
Nel 1978 quando venne varata la riforma sanitaria che aboliva il sistema delle mutue e introduceva un servizio sanitario pubblico garantito a tutti, oggi di fatto dimezzato e messo in discussione, l’allora parola d’ordine era: prevenire è meglio che curare. La parola d’ordine non è quasi mai stata applicata. Oggi è necessario riesumarla in concreto semplicemente facendo educazione permanente, come nel caso del diabete, e magari invece di investire milioni di euro per canali digitali televisivi di dubbia utilità, la cosa migliore da mettere in piedi, ad esempio, sarebbe un bel canale tipo D-Life, monotematico e tutto dedicato a noi diabetici.