A partire dagli anni 80 quando cominciò a imperversare tutto il teorema industriale sulla cosiddetta “qualità totale” d’importazione nipponica, cominciò anche nell’italica penisola a prendere piede il valore del merito a livelli generali e nelle strutture organizzative, produttive pubbliche, private. Un sistema premiante fin’ora si è visto messo in pratica più a parole che nei fatti. La cultura industriale civica anglosassone centrata sul riconoscimento individuale e la fedeltà del singolo all’organizzazione ha sempre riconosciuto queste virtù sotto ogni forma: remunerativa, con premi e altro ancora.

Il diabete? Non può mancare nel amplio novero dei riconoscimenti, e molte imprese farmaceutiche come organizzazioni no profit ogni anno, negli USA ad esempio, promuovono manifestazioni e premi a favore di diabetici contraddistinti per stili di vita o altri traguardi significativi per il senso civico collettivo, sia nazionale che locale.

Lo scopo è anche quello di motivare i diabetici, attraverso la competizione, a controllarsi, curarsi e quindi migliorare la propria condizione. Recentemente, solo per fare qualche esempio, la multinazionale Sanofi ha promosso per i residenti negli USA il premio “A1C”, ovvero la migliore glicata; poi ancora la Lilly, una delle principali produttrici mondiali d’insulina, ogni anno premia sempre oltreoceano i diabetici di tipo 1 con maggiore anzianità di patologia. Altri campi sono investiti dal legame premio più diabete: poesia, teatro, documentario, e ancora manifestazioni sportive, creatività tecnologica a favore della cura, vita con la malattia.

Sono tutte iniziative che inoltre stimolano la fidelizzazione e aggregazione al marchio o associazione. E in Italia? Da quel che ne so le uniche iniziative promosse sono state di carattere sportivo e poco più, ma non è mai troppo tardi per cominciare.