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Il sole splendido splendente illumina tutto le cose, la gente mentre echeggia il rumore dall’asfalto di un traffico urbano mai domo anzi caldo, la gente vive e verve porta i pargoli a cominciar la lezione in scuola poi di fretta al lavoro si va, quindi alla tarda sera a casa torna oppure a ristorante s’arreca per poter cominciar in allegria la serata di spettacoli e varietà. Ecco qua la beltà d’una vita fatta d’ogni cosa dove il tempo posa la sua chioma voluttuosa. Come diceva il noto scrittore russo Scandinsky nell’opera “Ritorno a volte in  Petropavlovsk”: il punto di sutura di una ferita può riaprirsi se non è stato medicato a dovere, così riepilogando le umane vicissitudini di ogni giorno può capitare di trovare situazioni diverse da affrontare. In questi giorni ho trovato un caso estremo: si tratta d’un diabetico come me tipo 1 dell’età anagrafica di 47 anni e colpito dalla malattia a 15: l’uomo non ha mai controllato la glicemia, oltre a saltare o non fare per diverse volte l’insulina e dopo poco tempo dall’esordio del diabete aveva cominciato a fumare un quantitativo di sigarette molto elevato, pari a una media di due pacchetti al dì, e non solo, verso i 20 anni al vizio del fumo ha cominciato a prendere  corpo anche il bere. Prima birra, poi il passaggio al vino e quindi, se così si può dire, il colpo finale nei super alcolici. Così facendo il diabete ha fatto esplodere in lui tutte le complicanze possibili dovute all’impazzimento della patologia la cui descrizione risparmio anche perché basta leggere l’ampia narrativa presente nel blog, sui siti trattanti il diabete e nei libri per sapere come con glicate superiori al livello 12 per molti anni si arriva a compromettere la vista, la circolazione arteriosa, i reni e la conduzione nervosa.  La trasgressione con il diabete in gioventù è doppiamente traditrice proprio perché gli stravizi continuati non sempre danno sintomi pesanti al fisico, ciò in particolare tra i 20 e 30 anni d’età. Io stesso ricordo bene come in quella fascia di tempo sopportassi bene, senza sintomi particolari, eccessi di tipo alimentare seppur temporanei. Il fatto su cui soffermarsi è  ben altro: come si fa a ridursi ad un livello così estremo della vita, tale da portarti a perdere la vista, un arto e ad essere in dialisi permanente? Sì perché io sostengo sempre che il diabete non è la risposta ma l’effetto finale del processo, e allora per la prima volta da quando ho avviato l’esperienza con il blog faccio un dialogo, o come direbbero i giornalisti seri, quelli con la g maiuscola, un’intervista con il mio pari che, per ragioni di riservatezza e tutela della privacy, chiamerò Luca.

D. Hai riletto Luca quanto ho scritto a premessa di questa conversazione per cercare di sintetizzare un poco il tuo percorso con il diabete, ma a tanti anni di distanza come ti rivedi e stai ora?

R. Sinceramente e senza girare attorno alle parole: sono stato un coglione e il risultato è quello che vedi e hai scritto. Adesso vivo nei limiti del possibile, e cerco di arrangiarmi da solo, come sempre ho fatto. Non mi lamento, no non l’ho mai fatto, vado avanti finché posso.

D. Beh qui nessuno fa a gara ad essere primo o a vincere medaglia, l’unico riconoscimento è vivere e capire per migliorarsi, questo lo puoi fare ora come ieri. Ma la mia domanda, per proseguire la premessa è un’altra: come sei entrato mentalmente nel diabete all’inizio?

R. Ricordo era inverno, gennaio per l’esattezza e avevo cominciato a lavorare da un fabbro perché non volevo andare più a scuola, siccome non sopportavo la famiglia, sia mia madre che mio padre e con gli altri cinque fratelli c’erano rapporti di scazzo continuo, desideravo allontanarmi ed essere indipendente. I miei genitori erano gente povera, molto povera: mia padre faceva il bidello e mia madre casalinga. Fu così che in quell’inverno cominciavo ad avvertire sintomi strani: oltre ad urinare e bere spesso, perdere peso, la sera al ritorno dal lavoro avvertivo giramenti di testa forti sudorazioni e debolezza, ma pensavo fosse dovuto alla stanchezza, sai lavoravo anche 12 ore filate al giorno e metà giornata il sabato. Poi un giorno mentre tagliavo una lamiera persi conoscenza e mi risvegliai al pronto soccorso, e lì che i medici mi scovarono il diabete. Fu così che oltre a perdere conoscenza persi anche il lavoro, sai non ero in regola.

D. Luca ma vivevi sempre con i tuoi genitori e come reagisti alla scoperta del diabete?

R. No ero andato a stare dai miei nonni paterni poiché vivevano vicino al lavoro. Al principio con il diabete ci fu un gran caos per via del rifiuto da parte di mia di veder coinvolti i genitori all’atto pratico, poi la malattia la vedevo come un condanna, una privazione della libertà e indipendenza dal lavoro in primo luogo e anche altro.

D. Quindi come affrontasti tutte le cose pratiche da fare: le punture, il controllo della glicemia per cominciare?

R. Avevo subito capito che dovevo fare da solo se volevo avere la mia vita, quindi senza alcuna incertezza cominciai fin da subito a farmi le punture, e controllarmi la glicemia. Mentre per la prima la cosa mi veniva automatica per la seconda molto meno, anche perché questi continui cambiamenti nei risultati avevano l’effetto in me di innervosirmi fino all’inverosimile. I primi cinque anni furono terribili: ero spesso in ospedale o per una ipoglicemia, o per cheto acidosi con vomito e iperglicemia, e dovevo cambiare spesso lavoro, sempre non in regola. Praticamente ad ogni entrata in ospedale corrispondeva una uscita dal lavoro. Tant’é si era diffusa in giro la voce del mie crisi diabetiche che si era creato il deserto attorno con delle discrete difficoltà nel riuscire a trovare nuovi impieghi.

D. Ma con i medici eri riuscito ad avere un rapporto utile e proficuo per la tua vita con il diabete?

R. No, le visite erano frequenti, a cadenza quindicinale, mensile, e farle diventava un tormentone infernale: arrivavi sul posto all’alba e usciva per pranzo, poi durante l’attesa della visita ti rompevi le balle in un modo inaudito tra un mucchio di gente con te ad aspettare da sembrar d’essere alla prevendita biglietti di un derby di calcio. Al momento della visita era forte la voglia di scappare da un lato, e l’apaticità nonché freddezza del medico tale far accelerare l’attimo.

D. Chiaro allora che hai mollato presto, anzi subito la presa con il diabete, e ti sei dedicato ad altro.

R. Eh sì, vero anzi verissimo, il mio obiettivo era farmi la mia vita senza altri ostacoli, infatti a vent’anni, una volta smesse le varie crisi estreme con il diabete ho subito ripreso a lavorare con continuità, cambiando completamente genere: ripartii facendo l’aiutante ad un antennista e riparatore di tv, e questo mi fece dimenticare la malattia ma non altri problemi.

D. Fammi capire: quindi niente controlli sia a casa che al centro?

R. A casa non li facevo mai anche perché vedere sempre la glicemia andare per i fatti suoi, nonostante tanti tentativi per far quadrare i conti, mi rendeva nervoso oltre a quello che già di mio ero, inoltre ai controlli ci sono andato fino a 23 anni d’età, per poi smettere anche lì per la stessa ragione: cosa ci andavo a fare? Mi dicevo: tutto un su e giù di glicemia e insulina senza un risultato decente. Ti dirò di più: quando ci andavo, nelle ultime visite baravo per non sentirmi più dire che andavo male senza poi trovare una soluzione da parte loro. Baravo portando risultati fasulli del controllo della glicemia da casa. Allora la glicata ancora non si faceva

D. Scusa Luca ma lasciamo da parte il diabete e voglio dirti apertamente che idea mi sono fatto da quanto mi stai raccontando: tu avevi durante l’adolescenza un gran voglia di rompere gli schemi e correre per la tua strada, quindi ogni ostacolo che si frapponeva all’obiettivo lo dovevi superare o abbattere. Ma nella tua vita hai trovato in seguito delle risposte?

R. Volevo fare le mie cose sì farmi una vita mia, meglio di loro e una famiglia fatta di sacrifici sì ma con la speranza di stare meglio.

D. Ci sei riuscito?

R. No, i lavori sono ancora in corso: sono sposato da 20 anni ormai ed ho due ragazzi grandi di 19 e 21 anni che viaggiano alla grande. No nel senso che il mio lavoro, la missione non è ancora finita e poi ho tanto da fare.

D. Cosa devi fare?

R. Già non te l’ho detto, nonostante la mie mutilazioni ho studiato mentre lavoravo è sono riuscito a diplomarmi al tecnico commerciale, oggi vivo traducendo testi dall’inglese all’italiano in braille, si impara sempre e non si finisce mai finché dentro te vedi la luce della vita, sai tra poco diverrò nonno.

Grazie Luca, ho ben poco da aggiungere a queste risposte: quel che penso e sento è un grande e profondo senso di stima, affetto per Luca: una vita tutta in salita si ma che ha dato frutto e fa vedere la luce del Sole comunque.

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