Le tante facce del diabete e una di queste si riflette sul lavoro, ovvero come si concilia l’attività lavorativa con la patologia? Tra miti e realtà ho scoperto, sotto il profilo della comparazione legislativa che la normativa statale e federale degli Stati Uniti d’America in linea di massima non è poi tanto difforme da quella Europea e Italiana. Un esempio concreto: invalidità e disabilità dovuta al diabete. Il legislatore americano con “L’Americans with Disabilities Act” applicabile applicabile ai datori di lavoro privati, i sindacati, le agenzie di lavoro con 15 o più dipendenti, e alle amministrazioni statali e locali, e il “Rehabilitation Act” del 1973 rivolto in genere ai dipendenti che lavorano per il ramo esecutivo del governo federale, o per qualsiasi datore di lavoro che riceve denaro dall’Unione, mettono in evidenza come una persona con diabete non può essere discriminata e esclusa dall’assunzione per via della sua condizione patologica, così come venire emarginata o relegate a mansioni improprie a causa della medesima malattia. Una disabilità è definita in queste leggi come un danno fisico o mentale che limita sostanzialmente una o più attività principali della vita – come mangiare, camminare, vedere, o prendersi cura di se stessi, o di una delle principali funzioni del corpo come la funzione endocrina.
Nel nostro ordinamento legislativo la declaratoria delle patologie, tra cui il diabete, riconoscibili come fattore invalidante, sono rinviate a norme di secondo grado o con atti di regolamentazione attuativa o semplicemente amministrativa, i quali oggi mettono a distinguo una condizione di diabete ben compensato da uno scompensato e con complicanze aggravanti e invalidanti, nei due casi si può avere o meno un riconoscimento per il collocamento privilegiato in favore dei cittadini svantaggiati (in teoria).
Ma al di là delle norme di principio ci sono degli aspetti specifici riguardanti la gestione del lavoro che vanno ben inquadrati nell’ottica peculiare del diabetico e nel relativo trattamento terapeutico. La prima di queste riguarda l’articolazione dell’orario di lavoro per turni e la prestazione notturna dell’attività lavorativa. Nel primo caso nulla osta nell’articolazione diurna dell’orario lavorativo così come il diritto ad avere un’adeguata pausa pranzo e usufruire del tempo necessario per effettuare i controlli glicemici nell’arco di tempo intercorrente lungo l’attività lavorativa. Invece per il lavoro notturno il diabetico tipo 1 e insulino trattato è esonerato da tale tipologia di prestazione e se gli viene richiesto ha diritto di avvalersi di tale esonero semplicemente presentando una certificazione medica attestante il suo stato e rilasciata dal medico diabetologo. Tutto questo passaggio viene automaticamente ricompreso nel caso al diabetico viene riconosciuta l’invalidità civile anche con percentuale minima.
A conclusione un discorso specifico merita la parte relativa all’infortunio sul lavoro: se l’infortunato era portatore di una infermità, preesistente all’infortunio, tale da provocare conseguenze più gravi di quelle normalmente attese a causa dell’infortunio stesso, il danno va globalmente imputato all’evento professionale; si tratta delle cosiddette “concause di lesione”, di cui un esempio classico è il diabete per effetto del quale una lesione anche lieve può provocare complicazioni molto più serie rispetto alla normalità. Da qui l’attenzione prestata da parte del datore di lavoro, cosciente e responsabile, dall’assegnare attività ad alto rischio per un diabetico. Pertanto noi diabetici nei riguardi del lavoro, dei nostri colleghi e datori di lavoro non dobbiamo avere alcuna remora e timore nel comunicare il nostro stato per i predetti motivi, come ancor più semplicemente onde far capire come aiutare a comportarsi e soccorrerci in caso d’ipoglicemia nel luogo medesimo, cosa di vitale importanza.