La soglia una linea non sottile ma invisibile e personale, esclusiva dentro ciascuno di noi. Un punto di differenza, e non il solo, da renderci unici per sempre nell’anello di congiunzione tra realtà ed eternità. La vita fatta di un impasto tra presente, l’attimo, passato, il ricordo, futuro, la speranza mi fa avere fiducia e credere che usciremo dal giogo del diabete, per diabete nel caso intendo il tipo 1, prima ancora che il pullulare di ricerche più o meno avanzate me lo fa sentire il mio istinto. Come ho evidenziato in passato tra i vent’anni e trent’anni d’età avevo perso ogni aspettativa e credenza circa una terapia decente per il diabete e meno che mai per la cura delle patologia. Dopo vent’anni mi sono ricreduto e se è normale, umano cedere allo sconforto, sentirsi preda dell’ineluttabilità della sorte, altrettanto irrinunciabile sta la consapevolezza di avere sempre dentro di noi accesa l’energia della speranza che ci guida e porta a uscire dal buio e ritrovare la luce.
Nel corso dei miei tanti anni di vita con il diabete ho scorto un lato spesso rimosso della malattia e che a la sua importanza: il rapporto con il dolore, la capacità di sopportarlo, conviverci e non temerlo. La forza di volontà, la mente può aiutare ad contenere e attutire il dolore? Cerco di essere chiaro nell’esporre l’evoluzione del mio percorso di vita attraverso i vari passaggi di conoscenza del male con sintomo fisico e mentale. La prima tappa è cominciata con l’esordio della malattia da infante e proseguita fin verso i trentasette anni d’età, ove lo star male oltre ad essere sentito con forte intensità mi portava al rinchiudermi in me stesso. Poi nei dieci anni successivi ho notato una aumentata sopportazione del dolore, e il segno tangibile l’ho avvertito nel 2005 quando a seguito della caduta per strada con fratture multiple a spalla, polso e massiccio facciale il livello di percezione della sofferenza si era abbassato verticalmente. E negli ultimi due anni, nonostante i dolori articolari provocati dall’artrite reumatoide, resisto e riesco a far fronte al male quasi senza impiegare antidolorifici e analoghi.
Come mai si è abbassata tanto la soglia di percezione del dolore? La neuropatia autonomica diabetica ha inciso nella mia resistenza al dolore? In parte ritengo di sì, ma non nella sua totalità.
A seguito degli eventi traumatici accaduti nel corso dell’ultimo decennio e grazie anche a un lavoro fatto per ridimensionare stati tensivi, d’ansia, stress residenti in animo mio e precedenti a quei accadimenti, sono riuscito probabilmente a far fronte meglio al male, gestendolo in maniera naturale, con risolutezza e tenacia.
Mentre rifletto e scrivo del dolore e della mia conquista nel riuscire a conviverci, non solo sopportandolo ma pure ottenendo una gestione discreta del medesimo, ritengo il risultato altresì importante per la tenuta del diabete e del buon compenso glicemico. Lo stress ormonale determinato dal male pesa parecchio nell’alterazione della glicemia, se deve tener conto e l’equilibrio a tutto campo fa bene in tutti i sensi e direzioni di marcia. Sapere che possiamo dominare il dolore è una grande conquista, nell’attesa della cura e remissione della malattia.
E concludo la digressione con la disamina asettica dei dati relativi alla media dei valori glicemici della settimana scorsa, uguale a 160 mg/dl, ancora una volta tengo la situazione in pugno. Finché c’è presa c’è speranza.