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MetropoliIl sentire comune sul diabete corrisponde al binomio: cibo e sedentarietà, in parte corrisponde, per lo meno su una quota di diabetici tipo 2. Comunque siccome la marcatura sociale non fa distinzioni tra i vari tipi e anche se mai dovessimo andare a rinominare e classificare le patologie penso che poco finirebbe per cambiare, come l’equazione diabetico uguale ciccione, anche qui ricordo col sorriso sulle labbra quando fin da piccolo gli adulti imparavano della malattia restavano sorpresi per il mio essere magro. A dire il vero pure nel tipo 2 non tutti sono obesi, anzi si ci sarebbe molte credenze da rivedere a tal proposito.

Comunque i falsi miti sorti e costruiti un poco per ignoranza, un po’ ad arte attorno al diabete sono lungi dall’essere ridimensionati ed eliminati poiché in fondo, alla base resta una impermeabilità, una superficialità insita nelle persone attorno a questi argomenti e non solo che porta a mantenere le proprie convinzioni per far prima invece di informarsi seriamente e quel tanto che basta.

Ecco uno dei pilastri dell’allegoria (mica tanto) diabetica riguarda proprio il cibo: durante la mia infanzia e parte dell’adolescenza provavo un certo fastidio nei confronti di coloro che, nonostante fossero a conoscenza della malattia, mangiavo senza ritegno cibi a me negati o comunque deleteri  per via dell’allora inevitabile sbocco verso una crisi iperglicemica con chetoacidosi e annessi, connessi, tant’è alla fine qualcosa assimilavo pure io con effetti appunto negativi (si parla degli anni 60 e primi 70 per la cronaca)

Poi col diventare adulto il fenomeno è andato a ridimensionarsi in apparenza, e senza alcun controllo procedevo a mangiare liberamente ma per fortuna senza esagerare, naturalmente nello sfondo la glicemia era e restava alterata, scompensata, i cui effetti sono andati ad accumularsi e presentare il conto poi vicino ai quarant’anni d’età.

La sintesi è presto detto nel rapporto con il cibo: si tratta di una parabola con curva ascendente dal principio e rimasta alta tra i 20 e 45 anni, per poi cominciare a scendere e continuare a farlo fino ad oggi.

E se nella fase precedente vivevo in una sorta di diabulimia, nel presente quanto accaduto e vissuto rappresenta e costituisce un ricordo, nel bene e nel male. Ora posso permettermi di vivere il rapporto col cibo senza dilemmi e patemi d’animo postumi, in quanto laddove si presentano anche solo delle brevi incursioni iperglicemiche  immediatamente riesco a rintuzzarle e normalizzarle.

Concludo facendo un esempio positivo: ieri al risveglio avevo la glicemia a 58 quindi ipoglicemia, sospendo l’infusione d’insulina e siccome tra i farmaci prescritti in terapia a colazione c’è pure l’alendronato per contrastare l’osteoporosi, il quale una volta inghiottito richiede mezz’ora di digiuno e di posizione eretta, all’interno di quel lasso di tempo mi preparo per andare a lavorare e faccio così colazione al bar. Bene ordine un buon cappuccino cui aggiungo una bustina di zucchero e una sfogliatella ripiena di crema pasticciera. Dopo mezz’ora dalla colazione la glicemia si trova a 106 in salita, allora erogo il bolo di 4 unità, e dopo tre ore la glicemia sta a 154 mg/dl.