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Oliver BurkemanIl male minore non esiste. O meglio come possiamo restare imbottigliati tra le strisce alla ricerca della pietra filosofale. Noi diabetici teniamo una visione d’insieme della malattia, ma spesso ci fanno andare in tilt piccoli contrattempi e controversie legate a qualcosa di storto facendoci perdere il senso della prospettiva.

A tale proposito uno scritto di Oliver Burkeman un giornalista – psicologo del Guardian. Curatore della rubrica settimanale “This column will change your life” ed autore di The antidote (Faber & Faber 2013) ha tracciato con un articolo una esposizione molto chiara e evidente di come agisce il nostro cervello tra piccole e grandi problemi, dal titolo appunto: il male minore non esiste.

“So che capita anche a me di arrabbiarmi quando qualcosa va storto nella mia vita, così privilegiata da tanti punti di vista. Ma forse non dovremmo sentirci in colpa: a causa di un’anomalia del nostro cervello, c’è un buon motivo per cui ci mettiamo più tempo a superare i piccoli contrattempi che i grandi problemi.

Questa anomalia è stata chiamata “il paradosso della regione beta” (potrei spiegarvi perché, ma suppongo che il vostro tempo, come la disponibilità di carote viola, sia limitato) ed è stata descritta per la prima volta dieci anni fa dallo psicologo Dan Gilbert e dai suoi colleghi in un articolo intitolato La strana longevità dei piccoli contrattempi. Quando ci succede qualcosa di veramente grave, si innescano dei meccanismi che ci aiutano a superarlo.

Per usare uno degli esempi di Gilbert: se una donna scopre che il marito la tradisce, può cercare di razionalizzare e convincersi che si tratta solo di una curiosità che lui doveva togliersi o di una crisi dalla quale il loro rapporto uscirà rafforzato. Se invece l’unica colpa del marito è aver lasciato i piatti sporchi nel lavello, le sue difese cognitive non scattano e la rabbia per quella piccola mancanza le ribollirà dentro più a lungo.

Quasi tutti diamo per scontato che più un evento è traumatico e più a lungo durerà il nostro dolore. Ma l’articolo di Gilbert dimostra che questa ipotesi spesso è sbagliata: i partecipanti al suo studio rimanevano scossi più a lungo se vedevano insultare qualcuno e meno se erano loro stessi a ricevere gli insulti (fatto relativamente più grave). Secondo alcuni esperti, le persone che soffrono di attacchi di panico quando subiscono un trauma si riprendono prima di quelle che non ne soffrono.

È uno schema che ricorre spesso nella vita. Se abbiamo un dolore acuto corriamo subito dal dottore, mentre se è più debole e persistente forse non ci andiamo. Le persone trovano più facilmente il coraggio di affrontare gli interventi molto dolorosi invece di quelli più leggeri, proprio perché hanno paura di tirarsi indietro al momento dovuto. Gilbert e i suoi colleghi arrivano a chiedersi se, dovendo guidare dopo una festa, sia meno pericoloso ubriacarci di martini che sorseggiare due bicchieri di vino: il rischio c’è in entrambi i casi, ma nel secondo è meno probabile che i nostri amici insistano per accompagnarci.

Perciò, anche se è sciocco infuriarsi per le piccole cose, il paradosso della regione beta ci ricorda che la sofferenza non segue regole semplici: non esiste uno standard unico per giudicare eccessiva la reazione di qualcuno, di fronte a qualsiasi cosa. Tutto può farci stare male. O come è stato saggiamente osservato: “La cosa peggiore che ci è mai successa è la cosa peggiore che ci è mai successa”. E, come suggerisce il paradosso della regione beta, non è detto che sia la cosa peggiore a farci soffrire più a lungo.

Uno spunto interessante trovate? Della serie: se una glicemia non fa primavera, tante fanno il diabete.