I peggiori periodi dell’anno non sono i giorni lavorativi, ma le vacanze, perché si ha più tempo per riflettere su se stessi. Quando si è in piena attività i problemi ci distolgono dal pensare, ma quando siamo in ozio ci assalgono i dubbi, diventiamo filosofi e ci facciamo tante domande che normalmente non ci poniamo. “Cosa abbiamo fatto della nostra vita” è una di queste.
Qual è lo scopo della nostra esistenza? C’è Dio? Siamo soli nell’Universo? La morte è la fine di tutto? Che significato ha la nostra esistenza se dobbiamo morire? Perché affannarci a trovare uno scopo per la nostra vita quando la sua influenza sulla macchina dell’Universo è infinitesima? Ci impegniamo a formare una famiglia perché abbiamo brama d’eternità, desideriamo tramandare i nostri geni alle generazioni future e non ci rendiamo conto che il nostro tentativo è ridicolo. Che cos’è un millennio di fronte ai miliardi di anni della vita del Cosmo.
Il nostro progetto di vincere l’oblio è destinato comunque al fallimento. Fra duecento, trecento anni saremo dimenticati e anche i nostri nipoti e posnipoti saranno scomparsi da questa Terra. Le piramidi egizie saranno ridotte in polvere e dei faraoni non si ricorderà neppure il nome. La vita ha come fine la vita stessa e quando finisce cosa ci rimane? Nulla.
E dal nulla che è nato il tutto e il tutto tornerà nel nulla, ma la beltà umana sta proprio in questo: disperdersi tra quello tutto e nulla, con una stasi e irrequietezza strutturale e sistemica crogioliamo il nostro ego tra se, ma e perché ma con una certezza: tutto dipende da noi.
Un diabetico lo sa che deve bucarsi ancora d’insulina per poter vivere, controllare lo zucchero nel sangue e molto altro ancora. Ma non basta: serve la consapevolezza di tutto questo e un altro passo fondamentale nella vita con il diabete sta nell’arrangiarsi.
Si perché tutti questi passaggi vanno fatti h/24 ogni giorno e non abbiamo la balia medica a reggerci ago, cotone striscia e dobbiamo arrangiarci. Ma è il come arrangiarsi che fa la differenza. Alcuni di noi si arrangiano in piena autarchia e autoapprendimento (le cifre continuano ad essere un mistero). Altri, e anche qui manca il dato, si arrangiano ma formati a farlo mediante percorsi di educazione sanitaria, terapeutica e alimentare.
Come sappiamo manca, non si fa un percorso di educazione continuo nel diabete per il diabetico. E nulla si scorge all’orizzonte in tale direzione, quindi continueremo ad arrangiarci da soli con qualche variante dipendente dal gioco dei venti cantoni regionali e dalle scuse del tipo: il contratto non lo consente, i soldi non ci sono, l’ASL da 1 euro all’ora al medico e paramedico per queste cose.
Ma una domanda l’avrei da fare: così come i soldi per gli i corsi in ECM (Educazione Continua in Medicina) ci sono, si danno e fanno, perché tra i tanti manifesti dei diritti del diabetico, carte di San Vincent e altro non facciamo una norma che include gli ECD (Educazione Continua del Diabetico e Diabetologo)?
Penso che i soldi nel diabete spesi in educazione sanitaria siano non solo un ottimo investimento ma farebbero successivamente risparmiare in complicanze, infortuni, terapie e simili (ma forse sta proprio qui il problema).