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pazientesottopostoadialisiinospedale.jpgQualche tempo fa avevo ho letto che in un ospedale italiano il direttore generale aveva fatto realizzare un sistema computerizzato di distribuzione dei pasti ordinabili via tablet, come al ristorante, e con menù specifici per ogni problematica patologica: diabete, celiachia, insufficienza renale; oltre a fedi religiosi di ogni ordine e grado. Stupendo, ma uno scampolo di modernità, e comunque un piccolo squarcio di novità rispetto al quadro generale e progresso in positivo rispetto al passato. Negli anni 70 e anche 80 i reparti di degenza erano suddivisi per sesso, uno maschile e uno femminile, e il confort era molto accentuato, in particolare il top lo si raggiungeva nelle medicine generali ove trovavi stanzoni con 8/10 letti per camera e un totale di 65/80 ricoverati alla volta, con letti ammassati nei corridoi e soli due cessi per tutte queste persone. Poi negli anni 90 le camere sono passate a 4/6 letti e oggi si trovano da 2 con bagno. Ma nei reparti di medicina generale potete sempre trovare i letti nei corridoi anche se unisex.

Racconto tutto questo perché un tempo per un diabetico tipo 1, in età pediatrica o no, l’unica soluzione propinata era il ricovero ospedaliero e il confort era adeguato alle condizioni dell’epoca, naturalmente secondo uno spirito cameratesco di antica memoria. E l’ospedale serviva a tutto fuorché a “curar” il diabetico stesso, ma d’altronde all’epoca le strumentazioni non erano paragonabili a quelle presenti oggi. L’unico modo per controllare la glicemia stava nel prelevare il sangue venoso una volta al dì dal dito tramite una pipetta di vetro lunga 10 cm e poi riversata su un vetrino veniva letta da una complessa strumentazione di laboratorio presente sono in ospedale, e le altre quattro volte nell’arco della giornata si faceva sempre il prelievo ma con ago e siringa dal braccio e oltre parti degli arti. E l’esperienza poteva durare un mese e più, lascio perdere tutta la parte restante dello schema terapeutico, ma desidero soffermarmi su un particolare aspetto della problematica ospedaliera legata al diabete: la degenza a tempo pieno aiuta? La risposta è no e per evidenti motivi. Il diabete tipo 1 è una patologia ad esordio giovanile o al massimo adulto nella quasi totalità dei casi e come tale ha una dinamicità legata al rapporto glicemia – vitalità e consumo da renderla antitetica a una condizione di ricovero. Anzi è comprovato da tante ricerche e studi che in condizioni di degenza prolungate il diabete peggiora sia nel compenso glicemico che nei tempi di recupero del medesimo. Tant’è che oggi si cerca laddove è possibile di fare durare il meno possibile i periodi di ricovero per i diabetici giovani e adulti: anche questo un segno, positivo, dei tempi.

Infine scordavo di rimarcare un ultimo importante aspetto che contrasta con il diabete della vita ospedaliera: l’alimentazione; una vecchia credenza sosteneva come in ospedale fosse garantita una nutrizione equilibrata per il paziente diabetico. Una leggenda, l’ultima, smentita drasticamente poiché l’apporto dell’alimentazione servita nel reparto ospedaliero è inidonea a noi diabetici tipo 1. Una ragione in più per evadere il prima possibile, una volta fatti tutti gli accertamenti, dal nosocomio. La vita d’altronde è fuori se ancora una volta non lo si fosse capito lo ripeto da “intenditore” della materia (l’autoironia non guasta nella vita e con la malattia), e la libertà la si apprezza ancor più.

Scusate la noiosa narrazione, ma ogni tanto riprendere le nostre origini e l’evoluzione della terapia, cura penso aiuti a capire il presente e orientare spero verso il meglio il futuro della sanità.