Il dolore è un ingrediente della vita con cui, prima o poi, ogni essere umano deve confrontarsi. Del dolore dei sentimenti troviamo versati fiumi d’inchiostro, intere galassie di pagine e siti web come commenti post e aggregazioni varie presenti sulle reti sociali. Un amore finito, la perdita di una persona cara, la mancanza di qualcosa. Ma del dolore fisico, acuto e continuo generato da una malattia fisica qui le cose si fanno un pochino più concentrate.
Si certo oggi si scrive di ogni cosa e nei vari cataloghi bibliografici imperversano ormai migliaia di titoli di libri, ebook, pamphlet di diabetici che ci raccontano la loro vita, gioie e dolori con la malattia, e pure io, noi facciamo la stessa cosa ma in questo contenitore quotidiano denominato blog.
Ma c’è un punto che mi ha sollecitato a scrivere questo articolo.
Nel corso dell’evento #DRIttiaVoi 2017 tenutosi lo scorso 11 febbraio all’Ospedale San Raffaele di Milano, il Direttore del Diabetes Research Institute prof. Emanuele Bosi rispondendo alle centinaia di domande rivolte ai conferenzieri dai partecipanti sul posto che online, affermava come l’impatto dei fattori di stress non è misurabile sul lungo periodo se non per brevi lassi di tempo, circa l’impatto che può avere sul livello di crescita e decrescita dello zucchero nel sangue.
Il diabete è una patologia contraddittoria: un esempio lo si ritrova con la neuropatia, che a lungo andare può portare a una sempre più insidiosa, latente, crescente insensibilità al dolore fisico, maggiore resistenza al medesimo. La percezione del male rispetto ad una persona “normale” e più ridotta: l’esempio classico riguarda la sensibilità alle punture nei polpastrelli, necessarie per il controllo domestico della glicemia; ricordo quando ero bimbo che mi facevano male e ne avevo paura, come dei prelievi ematici, ed oggi affronto tutte queste azioni senza particolari problemi. Il fatto ancor più evidente riguarda l’impatto con certe procedure diagnostiche invasive tipo: clisma opaco, colonscopia e simili, la cui soglia di tolleranza personale è aumentata rispetto al passato, così come le fasi chirurgiche post operatorie.
Ora il dato della perdita di sensibilità al dolore non è una bella cosa per tanti buoni motivi: il primo e più importante riguarda l’importanza di avvertire il male come campanello d’allarme per la nostra salute; il fatto che questo non avviene deve metterci in allerta e quindi raffinare meglio l’attenzione, ovvero non sottovalutare e sminuire segnali provenienti dal corpo. La riflessione fatta fin qui si rivolge al diabetico di lunga data, con vent’anni e più di cronologia vissuta con la patologia, quindi chi è giovane può passare oltre come anche coloro che sono riusciti a tenere ben controllato e compensato il diabete e la glicemia.
Ma esiste l’opposto: chi diabetico non ha le predette condizioni. Ecco allora come il dolore fisico quando si manifesta impatta eccome sulla glicemia, facendola schizzare verso l’alto. Un esempio tanto per gradire? Prelievo del sangue per gli esami di laboratorio, glicemia di partenza 120 mg/dl, dolore durante la procedura di asportazione e dopo 10/15 minuti il valore glicemico passa a 201 mg/dl.
Sono situazioni ovviamente spontanee di cui occorre essere consapevoli e grazie al monitoraggio continuo della glicemia oggi possiamo riuscire a reggere meglio il timone della navigazione con il diabete.