Buono, sano, sicuro «Se è fatto dalla natura è naturale. Se è fatto dall’uomo è artificiale»: nell’estate del 2009 questa frase appariva sulle prime pagine di molti quotidiani nazionali come slogan di Aboca, un’azienda che produce prodotti erboristici. Il riquadro pubblicitario proseguiva: «Oggi che conosciamo l’importanza del vero naturale e lo possiamo distinguere dall’artificiale si potrà non ingannare il consumatore con falsi messaggi». E che cosa sarebbe il vero naturale? Siamo sicuri che sia facile distinguerlo dall’artificiale? Di più, siamo assolutamente certi che esista una separazione così netta, come suggerisce il messaggio pubblicitario? E che il naturale sia migliore dell’artificiale? Nel suo libro Perché gli scienziati non sono pericolosi (Longanesi, 2009), il filosofo e storico della medicina Gilberto Corbellini scrive: «È stato detto, dimostrato e ribadito in quasi tutte le salse che non c’è niente di più culturale dell’idea di natura». Eppure, continua lo studioso, «non c’è niente di più difficile da sradicare dell’idea che esistano situazioni che sono per definizione naturali o più naturali di altre». Questa idea viaggia in compagnia «del pregiudizio per cui ciò che è considerato “naturale”, in quanto tale viene giudicato più “buono”, più “giusto”, più “sano” e più “sicuro”». Si tratta di un pregiudizio fortemente radicato nella nostra cultura:
Il sistema di implicazioni semantiche «naturale = sicuro = innocuo = moralmente buono» è diventato una sorta di «mantra» ideologico che tiene in stato di ipnosi una buona parte della società occidentale. Si tratta di una equazione che viene acriticamente utilizzata sul versante della bioetica medica dalle confessioni religiose, e su quello della bioetica applicata alle biotecnologie agroalimentari dai movimenti ambientalisti. Quasi nessuno sembra più consapevole che la civiltà occidentale è riuscita a progredire sino ai livelli che esperiamo quotidianamente assumendo come vero, fino a pochi decenni fa, l’esatto contrario! Se nel mondo occidentale la speranza di vita alla nascita è raddoppiata durante l’ultimo secolo è perché la medicina e varie tecnologie hanno consentito di mettere sotto controllo una serie di rischi «naturali» che minacciavano l’esistenza umana, tra cui fondamentalmente le infezioni. Inoltre va da sé che i prodotti cosiddetti naturali non sono tutti per forza innocui, visto che una significativa parte dei cancerogeni che assumiamo vengono dalle piante, che li sintetizzano per la loro difesa.
Molti fautori del «naturale» sottovalutano questi aspetti in nome dei mitici «bei tempi andati», quando a loro dire si stava molto meglio di oggi.
E cosa resta da dire per finire? Usciti dall’incantesimo romantico della prosa naturalistica dove natura è amore, il ghiacciaio si scioglie il carattere resta imprigionato tra un byte e una battuta su carta, la conclusione è presto detta: la natura e il naturale si fondano sulla selezione naturale, l’evoluzione e la catena alimentare. E’ naturale l’alternarsi della vita e la morte, poiché, per adesso, siamo prigionieri nel nostro pianeta e la via “nature” non offre alternative.