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Uno degli aspetto più insidiosi del diabete e meno trattati, anche perché sotto il profilo farmacologico non è presente nulla di che e i principi attivi disponibili trattano il dolore (oppiacei, analgesici e simili) ma non ne arrestano o rallentano le possibili manifestazioni.

Un fenomeno trascurato e poco conosciuto è l’interessamento concomitante del sistema nervoso autonomo, quello che controlla il funzionamento degli organi interni. In questi casi si può osservare una disfunzione del tratto intestinale con un rallentamento dello svuotamento dello stomaco o con diarree per accelerazione del transito, oppure una ipotensione ortostatica con caduta della pressione arteriosa in posizione eretta e fenomeni di barcollamento e perdite d’equilibrio, oppure ancora palpitazioni con tachicardie ribelli e perenni. Una delle conseguenze più drammatiche di questa disautonomia diabetica è la progressiva scomparsa dei segni d’allarme d’una ipoglicemia, che sono solitamente d’origine adrenergica.

E delle cadute legate alla neuropatia proprio desidero oggi approfondire l’argomento.

I fattori predisponenti sono essenzialmente due: la durata della malattia diabetica e la scarsa qualità del controllo glicemico: in altre parole, più la malattia dura nel tempo e peggiore è il controllo glico-metabolico, maggiori saranno le possibilità che insorga una polineuropatia diabetica.

La complicazione trascurata

La polineuropatia diabetica è sovente trascurata e non viene indagata e diagnosticata con la necessaria assiduità e tempestività, soprattutto nelle sue fasi iniziali. Esiste, inoltre, un’altra lacuna: i pazienti non sono sufficientemente informati sulla natura dei loro disturbi che vengono, pertanto, sottovalutati. Si calcola che soltanto il 25% dei pazienti che si lamenta dei disturbi agli arti inferiori sa che si tratta veramente d’una polineuropatia diabetica. Inoltre, nel 30% dei pazienti diabetici di tipo 2, si riscontrano già dei segni d’una incipiente neuropatia nel momento della scoperta della malattia!

E con il diabete tipo 1?

Accade la stessa cosa solo che la comparsa tende a rilevarsi dopo molti anni dalla diagnosi della malattia, a prescindere dal buon o pessimo compenso glicemico, nel mio caso si manifesto l’anno 2005 con una rovinosa caduta a terra e fratture multiple conseguenti: avevo il diabete tipo da 42 anni,

Riassumendo: le strategie terapeutiche, una volta la malattia conclamata, sono alquanto limitate e deludenti: insomma, le lesioni mieliniche e assonali, una volta instaurate, sono irreversibili. Questa constatazione deve spingerci a ribadire, ancora una volta, il concetto che la migliore profilassi è la prevenzione e che la prevenzione si attua soltanto con una terapia anti-diabetica ottimale, sin dall’inizio della malattia e quando diciamo ottimale oggi noi sappiamo cosa significa: una emoglobina glicata (Hb A1c) sotto 7%. È questo il messaggio che dobbiamo trasmettere, affinché ognuno, medici, personale, pazienti, si impegnino a rispettare questo limite del 7%, una sicura garanzia in grado di prevenire anche in tempi lunghi, l’apparizione di queste complicazioni ed assicurare ad ognuno una qualità di vita migliore ed un benessere senza ombre, senza ostacoli e senza sofferenze.