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Impoverimento, diseguaglianze, milioni di persone senza lavoro, che non si possono curare, che devono pagare farmaci costosissimi. L’ha definita una ‘epoca di guerra’ (e un contesto di sanità pubblica ‘di guerra’) quella che viviamo oggi il presidente dell’Istituto Superiore di Sanità, Walter Ricciardi, nella sua relazione al congresso della Società italiana di pediatria. Una guerra diversa, ma nella quale è prioritario “salvare il nostro Servizio Sanitario Nazionale, un sistema universalistico e ancora uno dei pochi”.

Ricciardi ha preso spunto dal titolo, i “Migliori anni della nostra vita”, per spiegare che “è una citazione da un bellissimo discorso che Winston Churchill fece quando l’Inghilterra era minacciata dalla Germania nazista. Era un’epoca di guerra, combattuta con i cannoni e la polvere da sparo. Oggi è un’analoga epoca di guerra, una guerra combattuta in maniera diversa, commerciale, una guerra in cui i feriti sono quelli che perdono il posto di lavoro, che non si possono curare, che devono pagare i farmaci costosissimi. Se non capiamo che siamo in un’epoca di guerra, non capiamo dove dobbiamo portare la sanità del futuro”.

Ricciardi ha citato “la nuova legge sull’immigrazione clandestina di Trump: soltanto in questa settimana ha separato 2.000 bambini dai genitori” e per quanto riguarda l’Italia ha ricordato “già i dati finanziari dell’ultimo decennio sono quelli tipici di un’epoca di guerra, perché nella Seconda Guerra Mondiale perdemmo il 7,5% del prodotto interno lordo. Con questa crisi economica abbiamo perso il 10%. Ci dobbiamo attrezzare perché nessuno ci regalerà niente in quest’epoca geopolitica così complessa”. “Quello che possiamo fare – ha aggiunto – è salvare il nostro Ssn. Dal punto di vista pratico molti cittadini, soprattutto al Sud, non accedono più a servizi essenziali. Sono costretti a muoversi o a rinunciare ai servizi o a pagarseli di tasca propria. Questo è quello su cui dobbiamo lavorare”.

Ricciardi, poi, spende parole positive anche per la circolare inviata dal ministro della Salute Giulia Grillo alle regioni e province autonome per ricevere le informazioni necessarie per mettere a punto il progetto di un piano nazionale per abbattere i tempi delle liste di attesa:
“Ha fatto benissimo, perché quello delle liste di attesa è uno dei problemi più sentiti dai cittadini e uno dei problemi su cui chiaramente la principale responsabilità decisionale e’ delle regioni”. Ricciardi sottolinea che “ci sono delle Regioni che hanno fatto dei passi da gigante: l’Emilia Romagna di fatto ha quasi azzerato le liste d’attesa. La quasi totalità dei cittadini ha delle prestazioni nei tempi. Ci sono delle altre che invece non hanno nemmeno attivato questo tipo di procedura”.

C’è un argomento che Ricciardi non riporta e, a dire il vero, nessuno lo fa: 70 anni fa con il varo della Costituzione repubblicana uno dei più grandi errori compiuti dai padri costituenti fu quello di suddividere le autonomie territoriali in 20 regioni, con all’interno delle loro competenze l’organizzazione del sistema sanitario. Si gettarono le basi per creare un sistema fuori controllo sia sotto il profilo dell’equilibro finanziario che dell’accessibilità nelle prestazioni. 40 anni fa, nel 1978 con il varo del Servizio Sanitario Nazionale suddiviso in venti sistemi regionali (Legge 883/1978), occorre ricordare che tale sistema prendeva spunto da quello del Regno Unito, ma tale nazione era suddivisa solo in 4 regioni e comunque già all’epoca il loro sistema dava segni di crisi. E  siamo ai giorni nostri dove, fermo restando il principio di una copertura generale per tutti i cittadini, occorre rivedere l’intera architettura non solo della sanità ma dell’organizzazione statale e locale.