È da un po’ che le parole mancano. Come se niente avesse senso. Come se le parole fossero vuote, senza anima. E non sapevi spiegare il perché. Non del tutto per lo meno. E poi parlando con una persona dell’esordio di mio fratello, lei dice che sono rimasta male perché ha fatto tornare in gala tutto il dolore del mio esordio, ha riaperto una ferita che pensavo che era chiusa. E ritorno all’esordio. Di quei giorni che non saprei neanche dare un nome. Sono andata avanti, ma allo stesso tempo ogni tanto torno li. All’esordio. A quel diabete, molte volte bastardo aggiungerei. Che la gente quando dico che ormai siamo in tre figli diabetici, mi dice: beh, allora è genetica la cosa. E io puntualmente: no. Non è genetica, è la sfiga. Eh già. Però in questi giorni, stando vicino con mio fratello ho capito una cosa che finora non avevo capito. Che la rabbia non serve. Lo so, lo sapevo ma accettarlo è un’altra storia. Cioè accettare che cmq la rabbia fa parte di un percorso. Di un percorso anche di consapevolezza. Suona strano vero? Però sapete cos’è stata la cosa più sconvolgente che ho capito in questi giorni? Che lui è stata la mia “ricompensa”. Suona ancora più strano, lo so. Ma è così. Quando io ho scoperto il diabete 20 anni fa, in Albania, non c’erano ne le informazioni e neanche tutto il materiale che abbiamo ora a disposizione per vivere meglio, per vivere meglio il diabete e tutto quello che ne comporta. Io ho avuto tutti i disagi del mondo, ero sola in una realtà che non saprei neanche spiegare, ma che molti di quelli che lo vivono da 20/30 anni lo capirebbero. Invece mio fratello no. Oh si, ha rischiato la vita. Però noi quella vita gliel’abbiamo ridato. Perché se si doveva aspettare dai medici in Albania a quest’ora non sarebbe stato qui. E poi anche le informazioni, lui già la prima settimana dell’esordio sapeva la conta dei carboidrati, aveva il fattore di correzione o il rapporto insulina carboidrati. Cose che in Albania non sa neanche un decimo della popolazione diabetica. Ma soprattutto, non era solo. E forse è stato il destino che nei momenti più importanti ha scelto che ci fossi io. Non è stato facile. Per nulla. Tutte quelle notti sveglie con la paura che potesse succedere qualcosa. E soprattutto la paura perché tu non eri vicina. Eri dietro a un telefono. In attesa di un segnale. Però, vedendolo adesso mi rendo conto che ne è valsa la pena. Di tutte le notti insonni e del tutto star male. Perché lui sta bene. Lo vive bene. E questo ricompensa tutto. Anche il mio di diabete. E in un certo senso ha ricompensato anche il dolore di quella bambina/adolescente che nessuno ha potuto/voluto aiutare….
(La foto rappresenta quella che ora è la nostra vita. Una gara tra di noi, di chi ha il valore migliore. E con orgoglio devo dire che “l’allievo” ha superato la maestra. Però per questa volta no, il 110 è il mio. Hahahahaha)