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Papilio machaon Linnaeus, 1758 Italiano: quest...

Chicco il mio cagnetto della gioventù apparteneva alla razza “volpino bolognese” una piccola creatura dal pelo nero e da compagnia, tanta, e simpatia unica: si prestava a qualsiasi cosa e posa, ricorderò sempre una foto con lui sigaretta in bocca (spenta) e capello di paglia in testa tipo novello gangster molto realistica e buffa, come un’altra volta, la prima, in cui lo portammo in campagna e di fronte a un campo sconfinato ancora un poco impazziva dalla gioia di avere tanta erba e prato tutto per sé, insomma era amante delle scoperte. Ma il comportamento più tenero lo aveva in sonno: si accovacciava solitamente ai piedi del letto, a volta anche a fianco della mia testa sul cuscino e dormiva assieme a me, Era un cane da e bisognoso di compagnia, e mentre dormiva a volte sognava, era così dolce vederlo sognare, borbottare e fare piccole abbaiature durante il sonno. Eh sì non solo noi umani sogniamo, lo fanno anche gli animali tutti e chissà che percepiscono?

La mia personale convinzione circa il sonno è che rappresenti una fase di compensazione dell’equilibrio mnemonico ed emotivo durante la fase di veglia, per così dire la forbice tra desiderio e realtà. Nel mio caso, come altre volte ho avuto modo di scrivere un buon sonno ha rappresentato un tranquillante naturale e un modo per sublimare le sfide lanciate dalla realtà.

E allora come può venire coinvolto il diabete in tutto questo percorso? Il processo di accettazione e adeguamento di un trauma, una malattia oggi definita inguaribile non è immediato e le risposte individuali sono diversi per forza di cosa, come i contesti familiari, formativi e culturali. Le condizioni di provenienza fanno in parte la differenza, ad esempio se il diabete si manifesta in un contesto familiare e sociale disagiato e di basso profilo può rappresentare un stato di aggravio nel rapporto accettazione e rifiuto della malattia, come dell’ignorare la stessa fino a che non arrivano a presentarsi le già note complicanze a far perdere ogni possibilità di recupero.

Osservando il mio percorso di vita con la malattia e quello di alcuni altri miei coetanei nel medesimo stato ho notato una cosa particolare che deve far pensare. Il diabete è una patologia che alterna comportamenti contradditori ed estremi: da un lato c’è l’atteggiamento maschio, muscoloso, atletico e macho, come all’opposto poi si cade in quello invalidante, macilento e spossato. A parte ciò i veri punti che si mettono in rilievo con la convivenza quotidiana della malattia riguardano il vergognarsi di essere diabetico da parte di un adolescente e giovane adulto, come la difficoltà a fare squadra sullo stesso tema e questi ultimi costituiscono la faccia nascosta e non affrontata della patologia: perché vergognarsi? Un primo motivo è presto detto: il sentire comune verso il diabete, senza distinzione tra 1 o 2, e di una cosa associata ai vecchi e persone che pagano una vita di dissolutezze in libagioni e ozio fisico, quindi o ben gli sta per questo, oppure si prova pena ma non altro. Ecco per un diabetico autoimmune e ad esordio giovanile tutto questo provoca naturalmente e fastidio e irritazione ma anche senso di incomprensione per il proprio stato, e alla fine piuttosto che dire cos’ha magari preferisce tenerselo per se con tutte le possibili conseguenze del caso.

La risposta a diverse sfaccettature: manca un percorso chiaro e incisivo, combinato in team tra specialisti della diabetologia, associazioni e simili per uscire attraverso tracciati aggreganti, dal predetto angolo. Come occorre spolverare l’opinione pubblica dall’assioma: diabetico = vecchio, grasso e cadente. La realtà ha mille volti e coglierne l’essenza è doveroso sia per verità scientifica che risvolto umano e sociale.