(Reprint) Oggi anziché parlare di me e dei miei percorsi esistenziali con il diabete vado a ritroso con la memoria per andare a ricordare un episodio appartenente al passato remoto della medesima malattia, ma questa volta ricadente su di un altro, e nella fattispecie la conoscenza avvenuta nel 1987, per via della la frequentazione del centro diabetologico, di un giovane uomo mio coetaneo colpito da una complicanza legata alla patologia a me ignota allora, e poi con il passare degli anni dimenticata dal nome: la sindrome dell’uomo rigido.
Di cosa si tratta? Di una rara neuropatia ad insorgenza lentamente progressiva, che colpisce le donne con una frequenza circa doppia rispetto agli uomini, ed è caratterizzata da rigidità del torace e degli arti. All’anamnesi i soggetto colpiti sono altrimenti normali, e l’esame obiettivo evidenzia solo ipertrofia muscolare e rigidità.
I primi segni della malattia si presentano come semplici dolori, rigidità nei muscoli assiali, cadute. L’esordio avviene durante la crescita e i sintomi insorgono perlopiù in maniera insidiosa nel corso di mesi o anni. Vengono colpiti per primi e in maniera prevalente il torace e le anche; questo compromette l’andatura che diventa rigida e impacciata (andatura “a soldatino di stagno”). Contemporaneamente si manifestano spasmi muscolari dolorosi, che possono avvenire spontaneamente o accentuare la risposta a riflessi, stimolazioni sensoriali o stress emotivo. Gli spasmi sono solitamente bilaterali, ma può esservi preponderanza di un arto; si presentano come scatti mioclonici improvvisi, che possono provocare cadute anche gravi, seguiti da movimenti tonici della durata di alcuni secondi.
Le cause della sindrome dell’uomo rigido non sono del tutto chiare. Le sue varianti sono associate a diverse forme morbose, tra cui: encefalomielite, diabete mellito di tipo I, tiroidite, neoplasie (carcinoma mammario o polmonare, timoma, cancro al colon), anemia perniciosa, miastenia grave. La presenza di anticorpi contro la decarbossilasi dell’acido glutammico (GAD) nella maggior parte dei pazienti suggerisce un’origine autoimmune. Tra i familiari di persone colpite da questa malattia si registra un’incidenza leggermente più alta di malattie caratterizzate da risposta immunitaria anti-GAD.
Un ricordo particolare di Marcello era costituito dal suo incespicare al momento di uscire all’aperto, quasi fosse colpito da una forma di agorafobia, e in quelle occasioni in cui mi trovavo presente lo aiutavo a scendere dalle scale del centro, per fargli riprendere un poco di sicurezza. E dopo molto anni dall’ultima volta che lo vidi alcuni mesi fa l’ho rincontrato: a prima vista sembra migliorato e vive la sindrome un attimo meglio rispetto al passato. Oggi viene curato con Il diazepam: un farmaco che diminuisce in modo consistente la rigidità muscolare, e nel suo caso non accentua per fortuna lo stato depressivo. Ogni anno fa la sua brava visita neurologica di controllo e la conferma circa della permanenza della sindrome l’ha ricevuta tramite la rilevazione di anticorpi contro la GAD nel siero, confermando così l’origine autoimmune e senza ulteriori altri accertamenti quali: elettromiografia e TAC spinale. Una malattia e complicanza del diabete invalidante ma in grado oggi di mantenere la persona colpita con l’autonomia necessaria per svolgere le operazioni base quotidiane nella vita d’ogni giorno.