Il controllo e l’autocontrollo sono due sostantivi presenti e pesanti nel vocabolario di noi diabetici. Un normoglicemico, una persona senza diabete potrà non capire e sapere cosa comporta, d’altronde è naturale sia così: emozioni, traumi come abitudini e sensazioni ciascuno le vive a modo suo nel e col tempo pertanto rappresentarle fa solo da cronaca. Mentre un diabetico senza estremismi comportamentali e mentali sa che per tener d’occhio la malattia non basta farsi la puntura d’insulina quattro volte al dì e più (il riferimento è al diabete tipo 1), ma prim’ancora si deve, dovrebbe effettuare un buchetto sul polpastrello per estrarre una goccia di sangue, riporla su di una striscia reattiva inserita nel glucometro, apparecchio che legge i livelli del glucosio nel sangue. Tale semplice ma non indolore operazione serve a cercare di tenere al lazo lo zucchero nel sangue (glicemia) che altrimenti correrebbe libero e impazzito per i canali del sangue. Se uno non lo facesse finirebbe per andare incontro, prima o poi, nel tempo a seri problemi di salute ovvero ad altre malattie generate da una glicemia fuori target, a cominciare dai danni a retina dell’occhio, reni e circolazione, irrorazione sanguigna con danni pesanti se non letali a cuore e cervello.
Detta così sembra facile ma nei fatti e non per tutti lo è, d’altronde la definizione malattia diabete come per le altre patologie serve a catalogare una situazione ma poi le ricadute e manifestazioni sono un miliardo e variabili da persona a persona. Alcuni hanno un diabete e solo quello senza ulteriori difficoltà e problemi connessi, altri invece fanno fatica a tenere tranquilla la glicemia e magari vanno pure incontro a complicanze patologiche generate dal diabete stesso, oppure aggiungo patologie autoimmuni al novero di cui sopra.
La lettura dei valori della glicemia fatti a casa con l’autocontrollo mediante strisce reattive da utilizzare col glucometro, e ora anche intrecciato con il controllo continuo glicemico abbinato al microinfusore d’insulina, va intrecciato ogni tre mesi con un esame di laboratorio effettuato tramite il prelievo del sangue venoso denominato HbA1c o meglio emoglobina glicata o glicosilata. Tale diagnosi serve ad avere una media dei valori della glicemia espressi nell’arco dei precedenti due, tre mesi così da aiutare medico e paziente a capire meglio l’andamento della malattia e cercare di migliorare la terapia d’insulina alla bisogna così come allontanare il pericolo di veder comparire le famigerate complicanze patologiche a reni, vista e circolazione dovute al perdurare di una diabete con glicemia scompensata.
E’ una naturale conseguenza capire come le informazioni, i dati raccolti rivestano un ruolo strategico per il diabetico. Proprio vero: l’informazione è potere e non solo limitatamente all’affresco di dati e cifre raccolte e sviscerati circa i parametri biologici del paziente le loro correlazioni. Un altro passo importante di tutta la impostazione cronologica nel controllo della malattia ce l’ha quando andiamo a constatare i dati vengono poi valutati e letti dagli operatori sanitari. Oggi accade spesso e volentieri che ci si limita realmente a leggere solo il valore della HbA1C e tutto il resto? E’ noia.
La domanda finale che lascio ai lettori, semplice e diretta: serve la visita di controllo del diabete così come viene fatta oggi? Per intenderci: quel momento rituale messo in calendario ogni tre/sei mesi di media che dovrebbe verificare l’aderenza della terapia e il mantenimento del compenso glicemico? Io credo di no. Piuttosto a tale scopo credo sarebbero più utili brevi contatti a scadenze ravvicinate per avere il polso della situazione, perlomeno per quella fascia di diabetici proattivi e cogenti nel rapporto con la malattia.