Default Featured Image

Passiamo i nostri giorni credendo a volte che ciò che ci succede possa essere frutto del caos o di un disegno superiore, come se le nostre azioni non fossero frutto della nostra libertà di scegliere. Questo concetto semplice permette a molte coscienze di sollevarsi dalle colpe quotidiane e dalle cattive azioni: “la vita è ingiusta e io come posso non esserlo?”.

Bene, io non credo sia così. Tolto il resto, fatto da osservatori o al massimo “influenzatori”, sono fermamente convinto che nelle nostre vite siano solo due gli agenti: noi e la morte. Sulla seconda c’è ben poco da dire visto che oltre a non conoscerla non la possiamo prevedere.

La possiamo e la dobbiamo trattare come una nostra pari (una “sorella”, come nel Cantico delle Creature di San Francesco), senza una connotazione negativa e senza inutili fatalismi. In sostanza obbliga le cose ad andare avanti senza se e senza ma, obbliga a muoversi anche quelle pedine che se no rimarrebbero ferme e mescola le carte di un mazzo che altrimenti rischierebbe di essere noiosamente prevedibile.

E al primo posto ci siamo noi. Inutile cercare cause allo scarso successo, alle continue incomprensioni o accampare scuse al fatto che niente migliora: prima dobbiamo guardarci allo specchio e lì troviamo la causa di tutto.

Se non capiamo che noi siamo il motore del nostro cambiamento e gli artefici del nostro successo non possiamo recriminare alla vita di non darci le occasioni, a Dio di non “aiutarci” e alla sorte di non tirarci addosso felicità e successo.

Quando le cose sembrano andare solo male e la nostra vita sembra chiudersi verso un vicolo cieco, dobbiamo aprire gli occhi davanti al fatto che la forza del cambiamento è in noi e che noi siamo i più grandi agenti delle nostre vite.

E fin qui ci siamo. Poi con il diabete vanno fatte un paio di integrazioni: in primo luogo sappiamo e lo impariamo in seguito che dobbiamo fare da soli nel capire come gestire la malattia, una condizione complessa e contradditoria, frustrante per non pochi di noi diabetici.

In secondo luogo è necessario dare gli strumenti al diabetico di qualsiasi età per imparare a gestire la complessità e il principale è rappresentato dall’educazione terapeutica in tutte le sue forme e dimensioni. Senza educazione potrai dargli tutte le meglio tecnologie biomedicali disponibili (sensori, microinfusore), ma a nulla serve poiché il rischio di avere danni e problemi è maggiore del beneficio.

Come la scuola l’educazione terapeutica va vista per gradi e in specie sulla base delle condizioni dei singoli diabetici: non tutti ci arrivano e proprio a tale ragione serve quanto mai una modulazione dei percorsi ragionata in base alle esigenze (sempre facendo riferimento alla fascia adulta della popolazione diabetica).