Tra lezioni di vita, pensieri e viaggi mentali, parole e diversivi spegni la luce e accendi i sorrisi pioggerellando tra solari condizioni che precedono l’andata in ferie. Ma tu che ne sai di me?
La personalizzazione della cura è un concetto, un’idea da portare col tempo a traduzione pratica, effettiva. Sapete dire diabete è dire niente: sì perché dentro questa parola di sette lettere a cui poi se ne aggiungono altre cinque – tipo 1 – ancora di più il niente aumenta. In condizioni protette il diabetico sta più al sicuro: da bimbo, ragazzo ci pensa qualcuno solitamente, mamma e papà, poi lo sguardo va dove va.
A sentire l’umore della piazza virtuale la grande maggioranza dei diabetici sta bene, fa quel che vuole, non ha complicanze, fisime mentali e problematiche di accettazione delle regole del gioco con la malattia. Bene per loro e avanti così.
Ovviamente al medico e allo scienziato interessa sia chi sta bene come chi sta male: il primo per capire i segreti del genoma e cellulari che gli permettono una vita diabetica senza difficoltà per poterli tradurre in approcci terapeutici, di riprogrammazione cellulare ad esempio nei riguardi dei secondi, di coloro che, invece, stanno male.
E quando stai male il gioco si fa duro.
Un aspetto della convivenza con i sintomi della malattia diabetica di tipo 1, da giovane adulto e a seguire, è la gestione dell’ipoglicemia quando il soggetto è solo, sia temporaneamente che stabilmente. Quali soluzioni si possono trovare affinché l’evento non diventi critico o fatale?
La questione è e resta irrisolta.
La massa critica dei diabetici ancora in buona parte non ha un sistema di monitoraggio continuo del glucosio, poi una gran percentuale di questi ha il sistema Flash che non allerta l’ipoglicemia ad esempio. E soluzioni “salvifiche” non ci sono.
Credo che il problema non sia riconducibile alla mera sfera sanitaria ma debba essere portato all’attenzione del volontariato e servizi sociali.
Come?
Un esempio pratico e operativo: avere un elenco dei diabetici tipo 1 soli presso l’ASL così da poter agire alla bisogna in assenza di segnali vitali dopo un certo arco di tempo.
La stessa cosa può essere praticata nei social laddove non vengono segnali di presenza da persone che vivono la patologia in condizioni di solitudine.
La peggior solitudine è essere privi di un’amicizia sincera.
Francis Bacon (Francesco Bacone)