Il titolo dell’editoriale è volutamente provocatorio e prende spunto da un dato di fatto, dall’esperienza che accomuna tutte le persone adulte, mature e anziane con diabete tipo 1: a cento anni dalla scoperta dell’insulina l’unico trattamento, salvavita, disponibile è e resta l’insulina, accessibile in una parte di nazioni, in altre meno, in alcune altre no. Altre soluzioni, cure non vi sono. Sulla ricerca a parte i viaggi mentali non si vedono a breve possibili risultati o procedure applicabili nella pratica clinica, quindi sulla persona.
Perché?
Il diabete tipo 1 è un patologia autoimmune dove il sistema immunitario per errore attacca ed elimina del tutto o in parte le cellule beta del pancreas che producono l’ormone dell’insulina, il quale regola l’assorbimento dei carboidrati nell’organismo, e livella il glucosio nel sangue.
La ricerca, specie nell’ambito delle varie forme di patologie autoimmuni, quindi compreso il diabete tipo 1, è, per usare un eufemismo, molto complessa, ardua, difficile, pertanto sono il primo a dire, da lettore e spettatore del palcoscenico scientifico, che occorre avere pazienza e lungimiranza.
Ma resta il dato di fatto che percorsi di terapia mirata per il diabete tipo 1, in qualsiasi ambito, non sono presenti, pervenuti. Un esempio da me riportato altre volte: a forza di colpi da iniezioni d’insulina nelle aree epidermiche del corpo si formano lipodistrofie che rendono difficoltoso l’assorbimento dell’ormone, e per questa complicanza assai diffusa del diabete tipo 1 è assente il trattamento, una qualsiasi forma di terapia. Quando va bene l’unico consiglio dato è di ruotare le sedi d’iniezione, ma dopo 20, 30, 40, 50 e oltre anni di malattia e punture la rotazione finisce per colpire le parti genitali e il problema resta.
Perché?
Cristo si è fermato ad Eboli e il diabete di tipo 1 si è fermato a 18 anni d’età?
La ricerca di cure che semplificano la vita o vadano a intervenire sulle specifiche complicanze c’è sì ma l’attenzione e sensibilizzazione si appalesa e manifesta con il diabete tipo 1 sono in età pediatrica e comunque usciti dall’alveo della giovinezza, dalla spinta e forza di volontà genitoriale, poi di fatto si vede il deserto dei tartari e la scomparsa di qualsiasi forma di attenzione verso non solo la ricerca, ma qualsiasi tipologia efficace ed efficiente di sostegno e pressione per farla andare avanti. Questo dato di fatto lo si ha ieri come oggi in Italia, da altre parti si fa molto di più, ma non basta.
Non basta, perché il diabete è di chi ce l’ha e il diabete resta oltre i 18 anni: la quasi totalità di noi entra nella clandestinità rispetto alla visibilità con la patologia, non solo per una questione di stigma, semplicemente perché l’esperienza va bene così oppure proprio non gliene frega niente di tutto il complesso carrozzone. Una piccola minoranza fa volontariato, cercando di facilitare i loro simili, altri ancora fanno i chierichetti del diabetologo di turno.
Siccome l’età conta e la consapevolezza incide ed è materia viva nel tempo, cerchiamo di essere consapevoli, nel bene e nel male, poiché quel che possiamo fare non è sufficiente ed molto quel che resta da fare per trovare soluzioni reali e praticabili, accessibili a tutti, per la cura, una cura del diabete tipo 1.