Torna la settimana mondiale della tiroide dal 22 al 28 maggio
Malattie della tiroide: quanto incidono genetica e familiarità?
Dalle società scientifiche un documento, condiviso con l’Istituto Superiore di Sanità, per informare i pazienti sul ruolo della familiarità e della genetica nelle malattie della tiroide
Milano, 22 maggio 2023 – Torna l’appuntamento annuale con la settimana mondiale della tiroide dal 22 al 28 maggio. In Italia sono circa 6 milioni le persone con problemi alla tiroide, anche se si tratta in prevalenza di patologie non gravi e curabili. La notevole diffusione di queste malattie, soprattutto nel genere femminile e spesso all’interno dello stesso nucleo familiare, rende centrali i temi della predisposizione genetica e della familiarità. Allo stesso modo, la necessità di individuarle tempestivamente e poter garantire una buona qualità di vita a chi ne è affetto, apre le porte al tema della cronicità. Le principali società scientifiche hanno elaborato un documento chiarificatore, condiviso con l’Istituto Superiore di Sanità, volto a dissipare i dubbi e rispondere alle domande più frequenti dal titolo “Tiroide: genetica, familiarità e cronicità”.
La Settimana Mondiale della Tiroide 2023 è patrocinata dall’ISS, Istituto Superiore di Sanità e promossa dalle principali società scientifiche endocrinologiche, mediche e chirurgiche, quali AIT Associazione Italiana della Tiroide, AME Associazione Medici Endocrinologi, SIE Società Italiana di Endocrinologia, SIEDP Società Italiana di Endocrinologia e Diabetologia Pediatrica, SIGG Società Italiana di Gerontologia e Geriatria, SIUEC Società Italiana Unitaria di Endocrino Chirurgia, AIMN Associazione Italiana Medici Nucleari, SIMG Società Italiana di Medicina Generale e delle Cure Primarie, ETA European Thyroid Association, insieme a CAPE Comitato delle Associazioni dei Pazienti Endocrini e sostenuta con un contributo incondizionato da parte di IBSA Farmaceutici e Merck Serono.
«L’importante diffusione delle malattie tiroidee nella popolazione italiana rende necessario chiarire alcuni aspetti spesso trascurati ma di rilievo per i pazienti. Davanti ad una nuova diagnosi per una malattia che abbia una qualche possibile familiarità – afferma Anna Maria Biancifiori, presidente CAPE che riunisce le associazioni dei pazienti endocrini – il primo pensiero, dopo la preoccupazione per la propria salute, è la possibile ricaduta sui figli. Per questo abbiamo sentito l’urgenza di chiedere agli esperti di fare luce su questi aspetti. Crediamo, infatti, che conoscere la storia medica della propria famiglia può essere di aiuto per permettere di identificare precocemente eventuali predisposizioni o rischi e mettere quindi in atto le misure necessarie a ridurre almeno i fattori di rischio modificabili per quella malattia o sottoporsi a procedure di prevenzione attive».
«Spesso è radicata la convinzione che queste patologie, soprattutto se presenti all’interno dello stesso nucleo familiare, siano causate da una predisposizione genetica o da una familiarità alla malattia, e che, quindi, esista un qualche grado di rischio di contrarre la malattia per i familiari», dichiara Marcello Bagnasco, coordinatore scientifico della SMT e presidente AIT, Associazione Italiana Tiroide. «Attraverso questo documento, frutto della collaborazione delle principali società scientifiche e del CAPE Comitato delle Associazioni dei Pazienti Endocrini, vogliamo chiarire i dubbi che ruotano intorno a predisposizione genetica e familiarità, primo fra tutti il preconcetto che siano termini intercambiali: la familiarità ad una qualsiasi patologia, anche tiroidea, prende in considerazione fattori genetici, ma anche ambientali, alcuni dei quali ben conosciuti e modificabili con successo. Al contrario, anche all’interno delle alterazioni genetiche, si distinguono quelle che sono causa di malattie ereditarie da quelle non trasmissibili», aggiunge.
In particolare, esistono malattie congenite causate da alterazioni del funzionamento o dello sviluppo della tiroide che si manifestano sin dalla nascita e la cui manifestazione clinica è l’ipotiroidismo congenito. Queste condizioni nella maggior parte dei casi non hanno carattere di familiarità. È essenziale, tuttavia, riconoscere la malattia precocemente, sin dalla nascita, per prevenire gravi deficit neurocognitivi e dello sviluppo. «Fortunatamente in Italia, grazie alla Legge n. 104/1992, è attivo un programma nazionale di screening neonatale per l’ipotiroidismo congenito che consente l’individuazione precoce dei bambini affetti da questa patologia i quali, quindi, possono ricevere la terapia di cui hanno bisogno entro le prime settimane di vita», precisa Antonella Olivieri, Responsabile Scientifico del Registro Nazionale degli Ipotiroidei Congeniti e dell’Osservatorio Nazionale per il Monitoraggio della Iodoprofilassi dell’Istituto Superiore di Sanità. «La presenza di uno screening neonatale rivolto a tutti i neonati e la disponibilità di un sistema di sorveglianza attiva della patologia garantiscono la massima efficienza di un sistema di prevenzione che consente un’ottima qualità di vita a questi bambini», conclude.
Altri disturbi, come il cosiddetto gozzo, non rientrano, invece, in questi casi. L’aumento del volume della tiroide, spesso accompagnato da noduli, in donne della stessa famiglia, è da attribuirsi prevalentemente a cause ambientali alle quali tali persone vengono esposte, in particolare, a carenza alimentare di iodio (cui si pone rimedio con l’uso generalizzato del sale iodato). Non sono quindi indicate procedure di screening mediante ecografia ai familiari di persone portatrici di gozzo e/o noduli tiroidei, nonostante i timori di chi ne soffre.
Dal documento si evince, inoltre, che per le malattie autoimmuni della tiroide, principali responsabili del nostro paese dei disturbi di ipotiroidismo e ipertiroidismo, esiste una predisposizione su base multigenica (ovvero data dalla combinazione di molti differenti fattori genetici), insieme all’intervento aggiuntivo di molteplici fattori ambientali, tra cui il fumo di sigaretta, gli eventi stressanti importanti e l’esposizione a inquinanti (detti interferenti endocrini). Anche in questi casi, non sarà necessario sottoporre figli sani di persone con malattie autoimmuni della tiroide a screening di funzione tiroidea, a meno che non compaiano sintomi quali, per esempio, stanchezza, ansia, irrequietezza e palpitazioni. Invece, pur in assenza di sintomi, la funzione tiroidea deve essere monitorata in caso di pianificazione di gravidanza, vista l’importanza di una diagnosi precoce ai fini della salute del feto.
Va sottolineato, tuttavia, che la maggior parte delle malattie tiroidee autoimmuni (in particolare la tiroidite autoimmune, causa di ipotiroidismo) sono croniche, con terapie che vanno mantenute a lungo termine o a vita. Il controllo della malattia cronica diventa indispensabile soprattutto nella popolazione anziana, dove il disturbo tiroideo può associarsi ad altre patologie croniche tipiche dell’età avanzata, come quelle cardiovascolari, metaboliche, neurologiche e/o osteoarticolari.
«Accanto alla tematica della predisposizione genetica, l’altro tema è quello della cronicità. La maggior parte delle malattie della tiroide, sia le relativamente rare malattie congenite sia le più comuni malattie acquisite, hanno il carattere della cronicità, ovvero, anche se nella maggior parte dei casi consentono una vita in pieno benessere se trattate, hanno bisogno di cura e controllo per tutta la vita, e, in particolare con l’avanzare dell’età, le problematiche che comportano si sommano con quelle delle altre malattie croniche (ad esempio metaboliche e cardiovascolari) diffuse nella popolazione generale», prosegue il professor Bagnasco.
Ultima precisazione, ma non per importanza, per i tumori tiroidei, la cui incidenza è aumentata negli ultimi decenni, a fronte di una mortalità costante. Solo rare forme di tumori tiroidei hanno carattere ereditario, in particolare il tumore midollare: accanto alla forma sporadica, infatti, che corrisponde al 75 per cento di tutti i casi, esiste anche un’eziologia di carattere ereditario, pari 25 per cento. Nel caso di tumori midollari, è indispensabile l’analisi genetica del soggetto per stabilire l’ereditarietà della forma; qualora lo fosse, sarà indicato dallo specialista uno screening ai familiari del paziente. Nonostante ciò, la maggioranza dei tumori tiroidei ha un decorso ben controllabile e non costituisce una causa di morte o di invalidazione. Nel caso di tumori particolarmente aggressivi, alla cui base spesso si riscontrano alterazioni genetiche (mutazioni) sul tessuto tumorale stesso e quindi non trasmissibili, è centrale il riconoscimento della mutazione per un approccio personalizzato alla terapia, come specificato dal Piano Oncologico Nazionale. Ad ogni modo, sia per i pazienti guariti sia per i pazienti in terapia il controllo è indispensabile: da un lato per il mantenimento dello stato di guarigione e per la conferma dell’adeguatezza della terapia, dall’altro per il monitoraggio dell’eventuale progressione della malattia. Inoltre, nei tumori avanzati, le terapie mediche specifiche, pur non permettendo la guarigione, consentono di stabilizzare la malattia, controllandola anche per tempi lunghi con mantenimento di una qualità di vita accettabile.