Venerdì scorso si è conclusa a Monaco di Baviera la 52° edizione del Congresso annuale dell’EASD, Associazione Europea di Studi sul Diabete. Un appuntamento ricco di incontri tra medici, scienziati, imprese e operatori della comunicazione che, ogni anno, serve a fare il punto sulle novità e l’evoluzione, lo sviluppo delle terapie e cure in ambito diabetologico e clinico.
L’edizione 2016 dell’evento ha offerto diverse novità alcune di queste riportate la settimana scorsa nel blog come: la presentazione del primo sistema di monitoraggio continuo della glicemia targato Roche. E oltre ai droni sarà possibile pilotare un aereo anche se si ha il diabete: senza mettere a rischio la propria e l’altrui sicurezza. Secondo quanto dimostrato da uno studio inglese, che fa così cadere uno degli ultimi tabù sul lavoro per le persone affette da questa condizione.
Una nuova ricerca presentata all’EASD ha evidenziato un inedito meccanismo attraverso il quale la dieta mediterranea potrebbe proteggere i vasi delle persone con diabete tipo 2. Lo studio dimostra infatti che tale dieta aumenta i livelli circolanti delle cellule progenitrici endoteliali, una sorta di squadre di ‘idraulici’ che intervengono a livello dei vasi danneggiati (ad esempio da un infarto) per ripararli.
Un altro studio ha mostrato che dare la vitamina D migliora la sensibilità all’insulina nei topi che sono diventati resistenti all’insulina a causa di un alto livello di zucchero e elevato contenuto di grassi nella dieta. La vitamina D riduce anche l’accumulo di grasso nei muscoli (miosteatosi), un altro segno di miglioramento del metabolismo.
E per finire in bellezza i diabetologi italiani hanno sviluppato un ‘termometro’ per individuare i soggetti con diabete di tipo 1 più esposti al rischio di complicanze micro e macro-vascolari, e per ‘dosare’ meglio la forza degli interventi correttivi e anche utilizzare argomenti più convincenti per motivarli a modificare fattori di rischio e stile di vita. E’ il risultato di uno studio presentato dai giovani ricercatori della Società Italiana di Diabetologia. Il team italiano ha messo a punto un modello di predizione del rischio cardiovascolare basato su parametri semplici quali età, emoglobina glicata, albuminuria, livelli di colesterolo HDL e circonferenza alla vita. Con questi semplici elementi è possibile definire per ciascun individuo un livello di rischio: basso, intermedio o elevato. Il tutto allo scopo di ridurre sempre più il gap di aspettativa di vita rispetto alla popolazione non diabetica.
Questo perché l’aspettativa di vita delle persone con diabete mellito di tipo 1 rispetto alla popolazione non diabetica è andata progressivamente migliorando. Tuttavia, due studi pubblicati quest’anno su ‘Diabetologia’, rivista ufficiale dell’EASD, indicano che l’aspettativa di vita dei pazienti con diabete mellito tipo 1 risulta ancora oggi inferiore di 10-12 anni rispetto a quella della popolazione generale, nonostante i progressi della terapia insulinica e dei sistemi di controllo della glicemia. Disporre di strumenti capaci di predire il rischio di eventi vascolari e quindi di mortalità nei pazienti con diabete tipo 1 potrebbe rendere più efficaci le misure preventive e ridurre il peso delle complicanze della malattia.
Il prossimo appuntamento con l’EASD è per settembre 2017 a Lisbona.