Del diabete e altre variabili
A parte la diagnosi, la presa in carico e follow-up, il controllo e la definizione del piano terapeutico per il soggetto con diabete c’è e resta in essere una questione di fondo irrisolto e che, credo, lo resterà ancora per un bel pezzo di tempo si tratta della comunicazione, intesa sia come interazione medico-paziente che comunicazione e persuasione massiva sia a livello sociale che come tecnica di marketing.
Al di la dello specifico medico che cataloga il termine unico diabete all’interno di una miriade di tipologie e sotto tipologie, di forme e distinguo degne di essere riportate nel progetto dell’UNESCO di ricostruzione della Torre di Babele, dove nel sentire del popolino resta inalterata l’equazione ciccio, mangione = diabetico, ma questo genere di etichettature prendono un ampio catalogo di umane situazioni si sa nel campo dei vizi e virtù e degli eccessi e abusi umani di qualsiasi genere di sostanza.
Resta il nodo gordiano, la barriera impercorribile della comunicazione basica tra medico e paziente, ad esempio nel mio caso, in sessant’anni di diabete tipo 1, trattato con terapia intensiva d’insulina, nessun fornitore di assistenza sanitaria mi ha mai impostato il fattore di sensibilità insulinica, così come il rapporto insulina carboidrati per poter effettuare le correzioni del caso in presenza di un rialzo della glicemia. Lo stesso è avvenuto sul lato educazione e preparazione alla gestione della malattia e dei carboidrati.
Nel giogo puritano di una vita moderata, contrassegnata da uno comportamento alimentare “sano” ed “equilibrato” senza eccessi, e da una vita attiva il giusto senza sedentarietà ed esagerazioni atletiche abbiamo il tiro alla fune con l’animo degli eccessi oggi amplificato dai nuovi media offerti ogni secondo attraverso le varie reti social e fatto di: porn food, porn money, sex porn, e vai di porno oltre naturalmente di truffe e raggiri in ogni campo pur si succhiare soldi a sprovveduti e “alternativi, neoanimisti di ogni specie.
Quindi la comunicazione sociale e le tecniche di marketing nel campo diabetico dovrebbero, a mio avviso, innanzitutto spingere a una ridenominazione del siglario delle patologie ricomprese nell’ampio canovaccio diabetico, uscendo dall’attuale formula dei passi di danza: T1D T2D T3D ecc. e differenziazioni socio anagrafiche, per dipanare una matassa che dal punto di vista del feedback non prende la collettività.
Se medici, organizzazioni impegnate nel campo del diabete vogliono essere prese in considerazione, oltre a trovare terapie efficaci e gestibili da parte dei malati debbono sapere investire in ricerca e comunicazione, una comunicazione che sappia cogliere nel segno.
E dato che è tutta una festa, in una società, la nostra, dove ogni 50/100 metri c’è un bar, un luogo di ristorazione, un supermercato, alla fine il comandamento universale della specie umana resta: siamo nati per mangiare.
La rivoluzione nella comunicazione sta nel saper digerire e andare di corpo sapendo che ogni esperienza ha due lati della medaglia