Vivere il tempo che passa e rivedere le cose scritte un momento fa con gli occhi del presente, sento questo frangente come una costante in me e resta posata nella mente la sensazione di essere un filo lungo i fogli di un calendario. Il mio diabete appare a ricordarmi di dover fare questo e quello e allora ritorno al presente, mio costante. Un frammento di tempo ignorato, vissuto, distratto come un foglio portato via dal vento, un corpo cancellato dall’usura degli anni, una vita che continua nel’orizzonte di un sole al levarsi come nel tramonto. E solo resto a leggere le pagine di un diario mai scritto, di un tempo ancora da vivere se vorrò, e quando riempirò i cassetti di polvere e l’aria vi entrerà a metterli in scompiglio, allora potrò essere veramente libero di salutare questo cielo sopra di me e poter camminare, non restare più fermo a guardare il bianco divenire, ma essere verso te in ogni momento.
Le distese di grano nel campo di fronte alla mia camera non saranno più una somma di carboidrati da calcolare, delle unità d’insulina da sommare, delle glicemie da computare, ma una espressione della vita che ogni attimo sorge e si rigenera ancora, senza mai posa, come quella rosa, quel filo d’erba sul ciglio della strada asfaltata.
(Questo testo l’ho scritto nel marzo del 1978, durante una mia degenza ospedaliera)