La lettura della mia infanzia e giovinezza trascorsa con il diabete, in particolare dal momento della scoperta a tre anni e fin verso i diciassette d’età, mi porta a compiere una riflessione condivisa e resa pubblica dentro questo spazio sui problemi relazionali e psicologici d’esordio e crescita con la malattia.

Ogni percorso di vita è personale e non comparabile con altri, il mio come ho già scritto nella pagina del blog titolata: vivo con il diabete; è stato contrassegnato dalla marcatura fino alla fase adolescenziale di  paure derivate da una cultura dell’ignoranza presente all’interno della mia famiglia, dei miei genitori che hanno generato un eccesso di protezione e insicurezza trascinato fino al mio presente. Una tara ereditaria che non centra niente con il diabete.

Oggi leggo e vedo tanti esempi di diabetici giovani e adulti che fanno cose e imprese un tempo ritenute non alla loro portata e comunque impegnative. L’aggancio tra il passato e il presente serve per guardare avanti a noi. La mia conclusione porta a contrassegnare il fatto che la vita del giovane diabetico non deve essere castrata, impedita nel cose da fare come sul cibo; in particolare sull’alimentazione è vero che determinati cibi e prodotti sono negativi per il controllo glicemico, ma una volta  monitorato tutto le azioni diventano più semplici e non si formano individui complessati o frustrati nel tempo.

La fase della crescita e sviluppo nella vita rappresenta per eccellenza il momento di maggior dispendio d’energia, quindi per un ragazzo diabetico è facile  mantenere un controllo della glicemia soddisfacente nell’arco della giornata così da tenere in compenso la glicemia e alimentarsi senza problemi e drammi.