Una ricerca italiana firmata dai principali ricercatori del nostro paese, tra questi il professor Uberto Pagotto direttore dell’Unità di Endocrinologia e Prevenzione e Cura del Diabete, Centro di Ricerca Biomedica Applicata, Policlinico S. Orsola, Istituto Di Ricovero E Cure a Carattere Scientifico (IRCCS), ha messo in chiaro come la multiomica aiuta nella diagnosi e terapia del diabete tipo 2 e nella lotta al contrasto dell’obesità e sindrome metabolica.
Lo studio (open text) è pubblicato su BMC Medicine il 27 dicembre 2022
Il background dello studio
A premessa i ricercatori evidenziano come l’obesità e le relative comorbilità rappresentano una delle principali sfide per la salute al giorno d’oggi, con un’incidenza in rapido aumento in tutto il mondo. Il microbioma intestinale è recentemente emerso come un modificatore chiave della salute umana che può influenzare lo sviluppo e la progressione dell’obesità, in gran parte a causa del suo coinvolgimento nella regolazione dell’assunzione di cibo e del metabolismo.
Tuttavia, sono ancora pochi gli studi che hanno esplorato in profondità la funzionalità del microbioma intestinale umano nell’obesità e ancora meno quelli che hanno esaminato la sua relazione con i comportamenti alimentari.
Analisi tempi e metodi della ricerca
Nel tentativo di far progredire la conoscenza dell’asse intestino-microbioma-cervello nel fenotipo obeso, i ricercatori hanno caratterizzato a fondo le firme del microbioma intestinale dell’obesità in una coorte femminile italiana ben fenotipizzata dai progetti NeuroFAST e MyNewGut EU FP7. Per far questo i campioni fecali sono stati raccolti da 63 donne in sovrappeso/obese e 37 di peso normale e analizzati tramite un approccio multi-omico che combina il sequenziamento dell’amplicone dell’rRNA 16S, la metagenomica, la metatrascrittomica e la lipidomica. Sono state quindi ricercate associazioni con dati antropometrici, clinici, biochimici e nutrizionali, con particolare attenzione ai domini cognitivi e comportamentali del mangiare.
Quali sono i risultati?
i ricercatori hanno identificato quattro cluster compositivi del microbioma intestinale nella coorte esaminata che, sebbene non distintamente associati allo stato di peso, erano correlati in modo diverso con abitudini e comportamenti alimentari. Questi cluster differivano anche nelle caratteristiche funzionali, cioè nell’attività trascrizionale e nei metaboliti fecali. In particolare, le donne obese con comportamento alimentare incontrollato erano per lo più caratterizzate da stati stazionari microbici a bassa diversità, con poche e scarsamente interconnesse specie (es. Ruminococcus torques e Bifidobacteriumspp.), che hanno mostrato una bassa attività trascrizionale, in particolare dei geni coinvolti nella biosintesi degli acidi biliari secondari e nella segnalazione neuroendocrina (cioè, produzione di neurotrasmettitori, indoli e ligandi per i recettori dei cannabinoidi). Coerentemente, nelle loro feci sono state trovate elevate quantità di acidi biliari primari e steroli.
in estrema sintesi
Trovando peculiari profili del microbioma intestinale associati ai modelli alimentari, si sono gettate le basi per chiarire la comunicazione dell’asse intestino-cervello nel fenotipo obeso. Fatta salva la conferma delle ipotesi qui generate, il lavoro dei ricercatori italiani aiuta a guidare la progettazione di interventi di precisione basati sul microbioma, volti a ricablare le reti microbiche per supportare un sano asse dieta-microbioma-intestino-cervello, contrastando così l’obesità e le relative complicanze.
Gli autori della ricerca sono: Monica Baroni , Silvia Garelli , Simone Rampelli ,Alessandro Agostino , Silke Matysik , Federica D’Amico ,Sabrina Krautbauer ,Roberta Massa , Nicola Salituro , Flaminia Fanelli , Patrizia Iozzo , Yolanda Sanz , Marco Candelà , Patrizia Brigidi, Uberto Pagotto e Silvia Turron.