proteina-ptpn2
Un altro piccolo tassello viene aggiunto alla ricerca della cause scatenanti il diabete di tipo 1 e, in prospettiva, ad una sua migliore gestione terapeutica . Ricercatori dell’ Università di Bruxelles finanziati dall’UE hanno scoperto come un gene chiamato PTPN2 contribuisce allo sviluppo del diabete di tipo 1. Gli scienziati sperano che le loro scoperte condurranno allo sviluppo di nuove terapie per il trattamento della patologia. La ricerca, pubblicata di recente nelle riviste Nature Reviews Endocrinology e Diabetes, è stata in parte sostenuta dall’UE attraverso il progetto SAVEBETA (“Molecular pathways underlying decreased beta cell mass in diabetes mellitus”). Il diabete di tipo 1 è una malattia autoimmunitaria, e ricerche recenti hanno suggerito che le molecole chiamate mediatori infiammatori possano ricoprire un ruolo maggiore nella patologia di quanto ritenuto in precedenza. L’infiammazione è una risposta biologica che è scatenata da infezioni o lesioni, ad esempio. Se l’infiammazione non è tenuta sotto controllo, o se i segnali infiammatori sono “interpretati male” dall’organismo, può risultare in una patologia autoimmune, come il diabete di tipo 1. Nel diabete di tipo 1, l’infiammazione localizzata del pancreas porta alla perdita di cellule beta produttrici di insulina. Se non viene arrestata la perdita di queste cellule beta, il paziente svilupperà eventualmente una dipendenza dalle iniezioni di insulina. Studi recenti sembrano dimostrare che le molecole chiamate mediatori infiammatori sopprimono la funzione delle cellule beta e contribuiscono alla loro morte. Sono anche capaci di bloccare o stimolare la riproduzione di cellule beta e possono causare la dipendenza da insulina. Intanto, altre analisi rivelano che il gene PTPN2 sembra coinvolto nello sviluppo del diabete di tipo 1. In questo ultimo studio, scienziati della Université Libre de Bruxelles (ULB) in Belgio dimostrano che PTPN2 riveste un ruolo importante nel dialogo tra il sistema immunitario e le cellule beta del pancreas, aumentando così l’infiammazione e causando l’origine e la seguente progressione della malattia. Scienziati del progetto SAVEBETA stanno indagando i segnali molecolari che stanno dietro la perdita delle cellule pancreatiche beta sia del diabete di tipo 1 che in quello di tipo 2. Ricchi di queste informazioni, essi sperano di individuare nuovi target per i farmaci capaci di trattare questa malattia.

(L’informazione in questione è tratta dal notiziario CORDIS©6/4/2009)

I filoni di ricerca sul diabete sono tanti, in questo blog ho dedicato vari articoli sul tema. Non possiedo gli elementi culturali e professionali per raffinare un percorso di vicinanza  sul terreno prossimo a dare frutti in questo ambito. A mo di esempio riporto quelli evidenziati nel passato: la ricerca sul Map (Mycobacterium avium paratuberculosis), vedi università di Sassari; lo sviluppo degli esperimenti per la cura del diabete di tipo con i farmaci biologici TNF (ricercatrice Faustman del Massachusetts General Hospital (MGH) di Boston); e poi c’è sempre il trapianto delle cellule. In conclusione di prospettive ce ne sono diverse, e l’ultima (non proprio nuova) riguarda l’impiego delle cellule staminali autologhe in determinate condizioni, e “risolutive” per un tempo limitato. Insomma i terreni di studio sono parecchi e pensavo di fare cosa utile nel elencare una sintesi dei processi aperti. Comunque l’idea che mi sono fatto sugli sbocchi nella ricerca di una via per migliorare la condizione diabetica porta alle seguenti osservazioni: il diabete di tipo 1, per la sua natura autoimmune, ha bisogno di un intervento mirato a riportare ordine nel sistema immunitario, in modo tale che lo stesso non disponga l’eliminazione della produzione di insulina; su questa strada si rileva interessante il cammino intrapreso per lo studio delle citochine della famiglia dei TNF nell’azione di aggressione delle cellule beta del pancreas produttrici dell’ormone insulinico. Il grosso problema che hanno davanti i ricercatori, mi sembra di capire, e di riuscire ad intercettare questo meccanismo che è in sé molto rapido. Le altre tappe sono utili per aiutare a guadagnare tempo nella vita del paziente in condizioni critiche ed in un futuro per un percorso rigenerativo del sistema immunitario. Comunque chi vivrà vedrà.

2 pensiero su “Il pezzo”
  1. http://www.curareildiabete.info
    Gentile Roberto ,sono sicura che è un imbroglio per spillarmi 90 euro , ciononostante sono curiosa. Cosa ne pensi? potrebbe contenere qualche notizia utile o ci sta prendendo in giro. Grazie Mariangela

  2. Potrei liquidare il contenuto di questo sito con: una porcata pazzesca! Ma voglio essere serio. Sul diabete di tipo 2 (perché l’imbonitore di questa pagina a questa categoria si riferisce) ci sono varie situazioni: quelli che hanno bisogno di insulina per tenere controllato la malattia; coloro a cui basta la pastiglia; ed infine diabetici per cui è sufficiente un’alimentazione controllata e dell’esercizio fisico. Comunque sia per tutte queste categorie L’UNICO contatto che debbono avere e con PERSONALE MEDICO QUALIFICATO E RICONOSCIUTO DAL SERVIZIO SANITARIO PUBBLICO. Negli USA (da dove proviene questa campagna pubblicitaria) c’è un fai da te terapeutico diffuso a causa di una sanità costosa e spesso sulle spalle finanziarie dell’individuo, qundi questi personaggi cercano di sfruttare la situazione per arricchirsi facilmente promettendo “cure miracolose”. In Italia, a seguito della vertenza sorta sulla “Terapia Di Bella” a livello oncologico, si riconfermato comunque la libertà di cura. Io aggiungo libertà nella responsabilità di sapere cosa incorre un individuo nell’intraprendere percorsi “alternativi e scorciatoie” pericolosi per la vita.

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