Riflessione tra me e me: quando ero piccino nei lunghi periodi di ricovero in ospedale per il diabete, non avendo da fare niente ed aspettando le “cure gioiose” dell’epoca, deliravo sull’aspirazione a diventare medico, per di più con la specializzazione in diabetologia, col desiderio infantile di risolvere in autarchia il problema della malattia. Ripercorro questi ricordi aggiornandoli al presente, con la lucidità dell’esperienza e della maturità: oggi non farei di sicuro il diabetologo. Sia ben chiaro ogni professione ha la sua dignità e ragion d’essere; ma debbo dire che non c’è niente di più frustrante e logorante che esercitare questa professione. Perché? Come tipo di mestiere è una via di mezzo tra il prevosto e il notaio; non lo dico per facile ironia ma alla luce di una semplice constatazione suffragata dai fatti. Nella stragrande maggioranza dei casi, dei diabetici sotto cura, rispetto alle indicazioni mediche vi è un rapporto simile a quello degli studenti col voto in condotta: pessimo; un individuo abituato ad avere una vita liberamente disordinata quando ad un certo punto si deve mettere “in ordine” (in primo luogo col cibo), al medico dice di sì ma poi va dove lo porta il cuore (par don lo stomaco su indicazione del cervello). Alla fine il ruolo del diabetologo, oggi, è quello di un internista – dietista frustrato, e, fatta salva una minoranza di diabetici, deluso dei risultati. Ma per fortuna c’è la ricerca ed altro a risollevare gli animi. E comunque di loro, i diabetologi, non ne possiamo fare a meno.